Mi piace incontrare l'artista, credo che nel cinema sia più importante incontrare l'artista piuttosto che i gangster”. In un semplice inciso il regista polacco Lech Majewski racchiude la sua visione della settima arte e la poetica de I colori della passione, film ispirato al quadro “La salita al Calvario” del pittore fiammingo Pieter Bruegel il Vecchio, nelle sale dal 30 marzo, distribuito da CG. “Quando giro un film - continua Majewski - voglio crescere e scoprire qualcosa su di me, qualcosa che possa lasciare un segno, come è già accaduto per Basquiat (2006, ndr), Bosch (Garden of Earthly Delights, 2004, ndr) e Wojaczek (1999, ndr). Ho sempre avuto un rapporto stretto con Bruegel: quando ero piccolo visitavo spesso Venezia perchè mio zio insegnava al Conservatorio e raggiungendo la laguna attraverso l'Europa in treno passavo per Vienna, dove mi fermavo un paio d'ore al museo di storia dell'arte per vedere i capolavori di Bruegel nella stanza a lui dedicata”.
II film di Lech Majewski ha partecipato ai Festival di mezzo mondo e ricevuto numerosi premi. In Inghilterra è stato presentato alla National Gallery, in Francia al Louvre con 100.000 spettatori, poi al Moma di New York, alla Biennale di Venezia, in India, in Giappone e dopo il successo al Sundance Film Festival è stato acquistato da 55 paesi. I colori della passione è un dipinto in movimento, un omaggio all'arte, al teatro e alla fede cristiana. Tratto dal saggio “The Mill and the Cross” del critico d'arte Michael Francis Gibson, un'approfondita analisi del dipinto “La salita al Calvario”, racconta le storie degli uomini e delle donne che si intrecciano sullo sfondo del paesaggio surreale popolato da oltre 500 figure che compongono la tela. Tra loro, oltre al pittore (Rutger Hauer), l'amico e collezionista Nicholas Jonghelinck (Michael York) e la Vergine Maria (Charlotte Rampling). Lo spettatore è condotto per mano all'interno del quadro in una visita guidata che include ogni particolare. “Bruegel ti ipnotizza, rimani intrappolato nel suo mondo - spiega il regista polacco - se lo ammiri a lungo vieni tirato dentro al dipinto. Ho scoperto moltissimi strati nei suoi quadri: la parte narrativa, il linguaggio dei simboli nascosti e la sua filosofia. Nelle composizioni nasconde sempre i personaggi principali, l'elemento piu importante lo mette sullo sfondo. Icaro, Saul o Gesù sono sempre celati per dimostrare, con grande saggezza, che ci accadono sotto agli occhi le cose più straordinarie senza che ce ne rendiamo conto perchè siamo troppo presi dalla quotidianità. In primo piano, infatti, ci sono il contadino, il pastore, il pescatore e tu ti chiedi dov'è l'Icaro che dà il titolo al quadro?, e anche Gesù non è  mai in primo piano. Per i suoi contemporanei era una cosa sconvolgente, nessuno lo aveva mai fatto prima”. E questo funziona anche nel teatro: “Ho trascorso molti anni a studiare la filosofia di Bruegel - continua Majewski - e poi ho trasportato il suo pensiero nel teatro quando ho messo in scena l'Edipo. Quando qualcosa è nascosta vuol dire che ha grande importanza. Nella mia piece Edipo era celato dalla sofferenza della folla piegata dall'epidemia, così si coglie l'attenzione dello spettatore, il suo occhio è attratto dalla scena”. In questo modo lo spettatore è catturato da ciò che vede sul palco, anche nei dipinti si svolge una rappresentazione e Majewski vuole che chi guarda i suoi film entri nello schermo/tela, elimina la distanza, perchè “non c'è differenza tra teatro e cinema - ci tiene a precisare il regista - come non c'è tra tutto ciò che amo, sia arte o musica, io compongo anche, la colonna sonora del film è mia”.
L'amore dell'artista polacco per Venezia e la Biennale nasconde una passione e un debito più grandi nei confronti del nostro paese: “Bruegel mi fa pensare a Federico Fellini - dice ridendo - Ho trovato numerosi parallelismi tra i due, le facce e le idiosicrasie che li legano mi affascinano. Ma Giorgione è stato quello che mi ha maggiormente ispirato, “La tempesta” è il dipinto che mi ha reso quello che sono e che mi fa sempre pensare ad Antonioni. Di sicuro se Giorgione fosse vissuto ai nostri giorni avrebbe fatto cinema”.
Ma della nostra epoca non ha una opinione lusighiera: “Adesso abbiamo tutta questa tecnologia ma produciamo solo spazzatura, anche Michael Gibson mi ha detto che potrebbe scrivere altre 250 pagine sul dipinto di Bruegel, mentre è difficile scriverne 30 sull'arte contemporanea, perché è solo fumo. Invece, nei 4 anni che ci ho messo per realizzare questo film ho prodotto stampe, realizzazioni grafiche, cortometraggi, video installazioni (anche alla Biennale) perché c'era talmente tanto da estrapolare da questo soggetto”. Secondo Majewski nei secoli passati “le persone erano abituate a contemplare, se il pittore dingeva una mela l'occhio vedeva piu profondamente. La cultura era più contemplativa, un dipinto raccontava storie come nel mio film. Adesso sto realizzando un progetto su Dante, nella Divina Commedia c'è tutta la cultura di un'epoca, astrologia, teologia, filosofia, come nei quadri di Bruegel”.