"Col digitale oggi tutti possono fare cinema". Una frase che si è sentito ripetere spesso in questi giorni alla Mostra del Cinema di Pesaro. Ma è davvero così facile? Purtroppo le difficoltà per chi coraggiosamente si sottrae alle logiche del cinema mainstream restano e sono tante. Non tutto ciò che luccica è oro, ci verrebbe da dire. E così la pensano anche alcuni registi e documentaristi provenienti da ogni parte del mondo e che ieri sera a Pesaro si sono dati appuntamento al Teatro Sperimentale per fare il punto sullo stato auttale delle cose e discutere dei problemi del cinema indipendente in digilare. Erano presenti il direttore del festiva Giovanni Spagnoletti, lo statunitense Kevin Everson, il giapponese Toshi Fujiwara, l'italiano Stefano Savona, la francese Chantal Akerman e i filippini Raya Martin, Khavn e John Torres. Tutti concordano nel definire la situazione "disastroosa". Negli Usa "non esistono finanziamenti statali – racconta Everson – gli unici soldi sono quelli che arrivano dai privati, naturalmente questi ultimi si aspettano un riscontro economico dal loro investimento e così anche quei cineasti che si definiscono indipendenti finiscono con realizzare opere narrative e hollywoodiane. Per i film artistici e sperimentali non è facile trovare dei soldi". Lo stesso vale in Gran Bretagna, in Giappone, nelle Filippine e in Francia, dove nonostante la presenza del Centre National de Cinematographie, la maggior parte dei finanziamenti arrivano dalla televisione: "Nel mio paese – spiega la Akerman – il CNC ogni due mesi seleziona 5 sceneggiature su 48 alle quali elargire un sussidio economico, ma la maggior parte delle volte questi soldi non bastano, se chiedi un milione di euro, te ne danno al massimo 200 mila. Allora o trovi il modo di farteli bastare oppure devi trovare dei finanziamenti privati. Un tempo c'era Canal Plus, che era disposto a correre dei rischi anche perché per legge doveva investire dei soldi in coproduzioni, oggi che il canale è in forte perdita, il suo impegno si è notevolmente ridotto". E' pur vero che grazie al digitale si possono realizzare film a bassissimo budget (come dimostra l'esperienza della stessa Akerman che ha realizzato il suo nuovo documentario, Là-bas, presentato proprio a Pesaro, a costo quasi zero). Ma se da una parte il digitale ha aperto le porte del cinema anche a chi non dispone di grandi finanziamenti e consente, proprio per la scarsità di risorse, di lavorare lontano da logiche commerciali e quindi con una grande libertà dal punto di vista creativo, la difficoltà maggiore resta quella di riuscire a far vedere i propri film al pubblico. "Trovare degli spazi per far conoscere e arrivare le nostre opere a chi magari potrebbe essere interessato al nostro lavoro resta un problema grosso e di non facile soluzione" affermano in coro i protagonisti dell'incontro. "Negli usa grazie al dvd è in atto una vera e propria rivoluzione, ma l'homevideo non risolve il problema" continua Everson. "In Italia non c'è mercato, non ci sono compratori e non ci sono produttori" dice Savona, che racconta di essere stato costretto ad emigrare in Francia otto anni fa. "Lì, in modo pressoché indipendente, riesco a girare dei documentari e c'è gente che fa la fila per andarli a vedere e i giornali ne parlano. In Italia l'unico è Il Manifesto, tutti gli altri sono interessati solo alle grandi star". L'alternativa alla sale è il dvd "ma è frustrante come andare a mangiare in un fast-food" dice la Akerman, "il nostro problema è che vdere film anche molto brutti come Il Codice Da Vinci costituisce una forma di socializzazione: tutti lo vogliono andare a vedere perché tutti ne parlano, e anche se ne parla male, si vuole lo stesso partecipare alla discussione, dire la propria, dire quando è brutto".