Ultimi due film in concorso al Torino Film Festival 2012: I.D. di Kamal K. M. e Pavilion di Tim Sutton.
Entrambi i film, girati agli antipodi del globo - USA e India - hanno per protagonisti i giovani e le loro vite, ma differiscono in modo sostanziale nella messa in scena degli eventi e nella forma stilistica che si è scelta per esprimerli. Decisamente più riuscito il film indiano che ci dà un esempio di come un'esistenza possa cambiare da un momento all'altro, per il semplice fatto di aver preso una decisione che sappiamo essere giusta, anche se questo comporterà delle complicazioni nella nostra vita.
Charu, ragazza moderna e in procinto di trovare lavoro nel mondo del marketing, decide di dare un'identità a un imbianchino deceduto in seguito a un malore mentre lavorava nella casa che condivide con altre amiche.
Nessuno - amici, parenti, il datore di lavoro del malcapitato, la polizia... - la incoraggerà in questa iniziativa, lasciando che Charu si immerga (e si perda) nei tristi e sconsolati bassifondi della megalopoli di Mumbai.
Kamal K. M. ha girato un film profondo che ha nella seconda parte, quella ambientata nella baraccopoli, il suo punto di forza: qui il documentario subentra alla fiction (lo si capisce dalle molte riprese in soggettiva e dalla naturalezza delle persone coinvolte nella ricerca di Charu) e ci restituisce in modo lampante il degrado in cui versano milioni di persone a pochi chilometri dai grattacieli.
Geniale, nella sua amara paradossalità, la sequenza in cui la ragazza parla di tecniche di marketing avanzato per una nota marca di scarpe tedesca, mentre si aggira senza meta tra montagne di spazzatura.
Anche Pavilion, come detto, tratta il tema dei giovani e del loro confrontarsi con la società che li circonda, ma lo fa scegliendo la strada della non-azione, dell'osservazione passiva.
Protagonisti sono alcuni adolescenti americani, dello stato di New York e di quello dell'Arizona, che trascorrono le loro giornate tra una corsa in bici ed evoluzioni con lo skate.
E' la noia a guidare le loro azioni: pur di sentirsi vivi sono disposti a tentare numeri pericolosi a 2 metri d'altezza, a spararsi con pistole ad aria compressa e spara graffette o darsi la scossa con i cavi elettrici delle auto (Jackass ha plagiato un'intera generazione!).
Il film vorrebbe inserirsi in quel filone che ha in Gus Van Sant il suo maestro (e infatti il film risente molto delle influenze di Gerry, Elephant e Paranoid Park). Con un'unica, sostanziale, differenza: qui non succede davvero nulla.
I tempi dilatati e vuoti di azione non vengono controbilanciati da un avvenimento che spezza il ritmo, conduce lo spettatore verso una meta fino a quel momento imprevista e dà nuovo senso alla parte “lenta” del film.
Qui semplicemente si osservano parentesi di vita di giovani annoiati. Normale quindi, per empatia, annoiarsi allo stesso modo.