"Da qui in poi gli storici dovranno lavorare. Non c'è un consulente storico, perché questo film vuole essere una provocazione per gli studiosi, perché vadano a fondo: l'interrogativo rimette in gioco la nostra entrata in guerra nel '40. Anche se devo ammettere che finora gli egiziani hanno fatto molta più ricerca di noi".
Così Folco Quilici presenta L'ultimo volo, il documentario da lui diretto, prodotto da Cinecittà Luce e trasmesso in seconda serata su Rete4 il 28 giugno, 70° anniversario della morte di Italo Balbo sui cieli di Tobruk, in Libia. Il suo aereo, su cui viaggiava anche il padre di Folco, lo storico direttore del Corriere Padano Nello Quilici, fu abbattuto dal fuoco amico, ovvero dalla nostra contraerea, nonostante le cronache di regime ascrissero la morte di Balbo e compagni agli inglesi, ma se la storiografia si è concentrata su chi e perché, il regista, viceversa, puntualizza: "L'incidente non è il vero problema di quel giorno, il vero e solubile problema è perché Balbo si stesse recando di sera a Sidi Azeis, a poche miglia dalle postazioni britanniche".
Supportata dalle ricerche già travasate nel suo libro Tobruk 1940 (Oscar Mondadori), il regista sostiene che il trimotore S.79 fu abbattuto da un sommergibile italiano e, soprattutto, che Balbo si stesse recando a incontrare i "giovani colonnelli" egiziani, che mal tolleravano il giogo inglese: "Se ne fosse derivato - scrive Qulici nelle note di regia - un accordo tra l'Egitto in rivolta e l'armata italiana in Africa settentrionale, la storia, e non solo quella dell'estate 1940, sarebbe stata molto diversa". 
Quello che l'ad di Cinecittà Luce Luciano Sovena definisce "un film fatto in house, oltre i tagli" e Quilici "con le unghie e coi denti" riporta sullo schermo la figura in chiaroscuro del gerarca fascista, aviatore e governatore di Libia Italo Balbo: "Inizialmente, il fascismo ebbe una eco mondiale molto positiva, di cui Balbo fu il simbolo: non voglio fare un elogio del fascismo buono contro quello cattivo, di certo Balbo si distaccava dalla faccia più dittatoriale, più mussoliniana", dice il regista, sottolineando come "la cittadinanza italiana che diede ai libici è un discorso attuale ancora oggi, e per i villaggi dei nostri connazionali le terre le comprò, non le confiscò ai libici".