“Questo è un film speciale, che non ti dice cosa devi pensare, ascoltare o vedere. Secondo me è un invito a fare un viaggio, a ridere, a piangere, e forse a riflettere sui limiti delle prime impressioni. Non è una lezione forzata, è una bella storia condivisa che arriva dal passato e che può aiutarci a capire il presente. E in questo momento storie di questo tipo sono davvero importanti”.

Come sempre generosissimo nell’eloquio, Viggo Mortensen arriva alla Festa del Cinema di Roma per accompagnare Green Book, film diretto da Peter Farrelly che l’attore interpreta al fianco di Mahershala Ali (premio Oscar pe Moonlight).

Tratto da una storia vera, il film racconta di Tony “Lip” Vallelonga, buttafuori italoamericano al Copacabana che nel 1962 accetta di fare l'autista di Don Shirley, talentuoso pianista afroamericano. Lip deve accompagnare il pianista prodigio in un lungo tour nel profondo sud degli Stati Uniti: per affrontare il viaggio, a Tony viene consegnato il “Negro Motorist Green Book”, vademecum per una vacanza “senza pensieri” destinato alle persone di colore, libretto che elencava gli alberghi e i locali dove ci si poteva rilassare senza entrare in contatto con i bianchi. Diversi per provenienza, usi e costumi (irresistibile zoticone il bianco, raffinato ed erudito il secondo), dopo alcune inevitabili difficoltà iniziali i due finiranno per stringere una forte e straordinaria amicizia, cementata di giorno in giorno durante questo viaggio nelle ragioni razziste degli States.

“Abbiamo portato sullo schermo una storia vera basata su un’amicizia vera. Mi ha fatto ridere, piangere, è un qualcosa ammantato di grande intensità drammatica, con i personaggi definiti così bene”, dice ancora Mortensen, che sullo sviluppo del personaggio spiega: “Non sono italoamericano, ero cosciente dei miei limiti, ogni volta che recito un personaggio la responsabilità è non farne la caricatura ma assumerne il punto di vista nel modo migliore possibile. Ho avuto un grande aiuto dalla famiglia Vallelonga, Nick (il figlio di Tony, anche coautore della sceneggiatura, ndr) è stato con noi tutto il tempo. Ogni tanto mi accorgevo che piangeva un pochino e allora capivo che stavamo facendo il film in modo corretto”.

Già presentato con successo ai Festival di Toronto e Londra, Green Book – che in Italia arriverà a gennaio 2019 con Eagle Pictures – “non è un film importante solo per questi tempi perché le storie così sono importanti per ogni epoca: la necessità o l’utilità di storie che ci aiutino a diventare un po’ meno ignoranti sugli altri, su chi è diverso da te”, dice l’attore, che spiega: “Il progresso umano non è un cammino dritto in avanti, ma un saliscendi, si va a destra e a sinistra, si torna indietro. In tutto il mondo, oggi mai così interconnesso, che si parli di razzismo, della crisi dei rifugiati, della misoginia, dell’ignoranza nei confronti dei diversi modi di adorare Dio, fanno specie le parole dei vari leader nazionali o internazionali. La cosa che mette paura è che persone che dovrebbero saperne più degli altri, coloro che sono ai posti di potere, danno sfoggio di un’ignoranza pericolosa, difficile da accettare. A che serve votare? Cercare di cambiare le cose? La gente se lo chiede. Il progresso dell’umanità è fatto di piccoli gesti, quotidiani, dalle persone comuni”.

Il viaggio che compiono i due protagonisti, attraverso la Pennsylvania, il Kentucky (fantastico il passaggio al Kentucky Fried Chicken, con Tony che per la prima volta costringe Don ad assaggiare il pollo fritto), l’Ohio, l’Arkansas, la Georgia e la Louisiana diventa allora l’on the road che si erge a metafora di un cambiamento, cambiamento nella quotidianità di due esseri umani sullo sfondo di un paese ancorato invece ad odiosi e terribili retaggi: “Questa è una storia che invita a pensare. Perché i piccoli gesti sono molto importanti, sono quei momenti che non tornano, quando in una frazione di secondo puoi chiedere scusa o tirare dritto se tagli la strada a qualcuno. Quel momento non tornerà più. E più sono le persone che fanno la cosa giusta più buoni esempi si vedranno in giro”, continua Mortensen.

Che, infine, svela anche qualche divertente aneddoto del dietro le quinte: “Sono ingrassato una ventina di chili per la parte. Ed è stato più piacevole piuttosto che riconquistare il peso forma successivamente. Non ho avuto un coach per la lingua, parlo un po’ in italiano, anche sulla base delle informazioni che avevamo Vallelonga veniva dalla Calabria e portava con sé un dialetto che magari oggigiorno non esiste più. E il suo linguaggio era un mix strano, che univa lo slang americano ad alcune parole tipiche del suo paese di provenienza. Il mio riferimento è stata la famiglia, Nick mi ha detto di andare nel New Jersey, li ho conosciuti. E gli ho spiegato che volevo essere fedele allo spirito del personaggio, ma non sarei mai potuto essere lui. Mi hanno detto ‘vabbè prima mangiamo’. Hanno portato dei piatti enormi, dopo due portate ero già sazio, ma era un continuo. Cinque ore di pranzo. Il cibo, come si intuisce poi anche nel film, è stato un elemento fondamentale, e schiacciante. Mi hanno raccontato tantissime storie sul padre, li ho incontrati molte altre volte, e molti di loro sono nel film. Il fratello di Tony nel film è mio padre, il fratello di Dolores fa il padre di Dolores e via dicendo. È stato molto divertente e caotico, a ogni fine ciak continuavano a parlare, e a mangiare”.