Alla conferenza stampa per i cortometraggi Vanguards e The End (fuori concorso nella Selezione Ufficiale) parla il portavoce del collettivo Abounaddara (traducibile con "L'uomo della strada"), autore della regia: "Il nostro gruppo lavora nell'anonimato, rischiamo la vita ogni giorno per poter girare i film che avete visto". Con una scelta coraggiosa e responsabile, Egitto e Siria sono affiancati nella programmazione di Venezia 68: i corti di Abounaddara vengono proiettati a cornice del Tahrir 2011, documentario sulla rivolta contro il regime di Mubarak.
A fare da trait d'union l'opera di Ammar Al-Beik, per la seconda volta alla Mostra con il corto Hadinat al shams (The Sun's Incubator), in concorso per Orizzonti. Nel film dell'artista damasceno, rivolta egiziana e siriana si fondono senza soluzione di continuità, mettendo in dialogo realtà, finzione cinematografica e immagini televisive. Ci sono così gli slogan di piazza Tahrir e la coppia che esce a manifestare a Damasco; le orribili immagini del corpo di Hamza al-Khateeb, tredicenne torturato e ucciso dalla polizia siriana, e quelle del parto della moglie del regista a segnare la rinascita nella lotta.
Girate in economia, a volte brevissime, le opere siriane riportano il pubblico al grado zero dell'immagine: i loro autori le descrivono come cinema di sopravvivenza. "Ogni venerdì in Siria è giorno di protesta ma, diversamente da quanto succedeva a Il Cairo, è estremamente pericoloso filmare i cortei o intervistare le persone. Il regime lavora per cancellare sistematicamente le immagini della rivolta e per ridurre al silenzio chi le produce. Con ogni mezzo possibile". Eppure, qualcosa riesce a filtrare dalle maglie della censura, come spiega il rappresentante di Abounaddara: “Spesso i nostri film nascono da donazioni spontanee di persone che hanno partecipato agli eventi filmandoli con il cellulare. A partire da questi frammenti costruiamo i nostri documentari: è una dura battaglia, dato che ormai l'immaginario collettivo è invaso dalla fiction costruita negli anni dal regime.” A fine conferenza, il pubblico presente (non molto numeroso per la verità) si alza commosso per applaudire il coraggio e la grande dignità di queste donne e questi uomini in lotta. Con la speranza che anche il cinema possa dare il suo modesto contributo al cambiamento.