Durante il penultimo matinée di Pesaro 56 alcuni registi del concorso riflettono sulla memoria: di una persona cara, di un amore o del passato di un paese. In serata, Vinicio Marchioni e Milena Mancini vanno alla ricerca di Cechov nei territori terremotati dell’Italia centrale.

 

Anche la penultima mattinata al cinema Astra è stata dedicata all’incontro (ravvicinato o a distanza) con i registi del concorso: venerdì è stato il turno di Shun Ikezoe, Thelyia Petraki, Felipe Bragança e Manuel Billi, che in modi differenti si sono tutti confrontati sul tema della memoria e del ricordo.

“A partire dalle memorie di mia nonna ho voluto creare una storia d’amore” ha spiegato il giapponese Shun Ikezoe a proposito di See you in my dreams, cortometraggio girato con una commistione di super8 e 8mm. “Mi sono ispirato ai registi della Nouvelle Vague che hanno trattato il tema della memoria, in particolare a Philippe Garrel. Per le scene che ho girato nella stanza di mia nonna Ozu ha sicuramente rappresentato un punto di riferimento.”

 

Sul passato riflette anche Bella di Thelyia Petraki, opera che rievoca gli anni ’80 in Grecia (anche utilizzando tecniche di ripresa dell’epoca come 16mm e 8mm): “Per me gli anni ‘80 rappresentano i ricordi della mia infanzia, a livello storico è stato un periodo in cui la Grecia ha sentito in particolare la propria condizione di paese posto a metà tra est e ovest: da una parte provava ammirazione per l’Unione sovietica, dall’altra fascinazione per la cultura americana. Non credo che l’utilizzo di determinate apparecchiature sia sufficiente a riprodurre un’epoca, sono necessari anche altri elementi come i suoni, i costumi, la recitazione, cosa che ho provato a fare nel mio corto e che continuerò a fare nella sua estensione a lungometraggio, progetto a cui lavoro attualmente”.

 

Felipe Bragança ha invece espresso il proprio punto di vista sulla difficile situazione attuale del suo paese, il Brasile, a cui ha dedicato la tragicomica genealogia familiare Um animal amarelo (A yellow animal): “Il Brasile sta vivendo una grande crisi di identità rispetto alla sua storia, ci sono due tendenze: una progressista la seconda conservatrice che riflette il governo al potere adesso. Nel film ho provato a mostrare come negli ultimi 30 anni il tentativo di credere in un’utopia che facesse rinascere il paese fosse appunto solo un’utopia. La struttura narrativa ruota attorno al concetto di memoria, il cinema è memoria. Il film non ha la pretesa di dare risposte sulla storia del mio paese, ma è una collezione di domande sulla crisi che viviamo oggi”.

 

Manuel Billi, autore di Guardarla negli occhi, ha raccontato le dinamiche di realizzazione del suo film, nato da un dissidio profondo sui limiti della rappresentazione: “Fin dove lo sguardo può arrivare e dove deve fermarsi? Come avvicinarsi a qualcosa di non rappresentabile? Avrei voluto realizzare il ritratto di mia zia, prossima alla morte, ma poi il film è diventato una danza di mani che cercano di comunicare qualcosa di impronunciabile”.

 

Nel pomeriggio è stata proiettata la seconda parte di Corti in mostra, a cui sono seguiti gli ultimi quattro film del concorso: Wasteland No.2: Ardent, Hardy, Hearty di Jodie Mack e Hi_8 [Transfert on file] di Erik Negro – entrambi cortometraggi ascrivibili al genere sperimentale – e poi Un baile con Fred Abstrait seguido de una pelicula en color dello spagnolo Bruno Delgado Ramo e il lungometraggio di animazione Kill It and Leave This Town, che il polacco Mariusz Wilczynski ha realizzato nel corso di 14 anni.

 

Nel corso della serata, Piazza del Popolo ha fatto da “teatro” all’ultimo film di Vinicio Marchioni (giurato del festival) che ha presentato il documentario insieme alla moglie e coautrice Milena Mancini. Il terremoto di Vanja – Looking for Chekov unisce l’influenza dell’opera del grande scrittore russo (a cui dà la voce Toni Servillo) alla realizzazione di uno spettacolo teatrale presentato nei luoghi dell’Italia centrale afflitti dai terremoti del 2009 e del 2016. Così si è espresso Marchioni sull’intenzione all’origine del documentario: “Studiare Cechov mi ha costretto a pormi questa domanda: quelli che vivranno dopo di noi, tra cento o duecento anni, si ricorderanno di noi con una buona parola? Ogni nostra azione si ripercuoterà da qualche parte e in tempi in cui la distruzione è molto più forte della creazione, questo autore mi ha insegnato ad avere una maggiore cura verso le cose che vorremmo creare.”

 

In contemporanea sono stati inoltre proiettati I demoni di San Pietroburgo di Giuliano Montaldo e Detenuto in attesa di giudizio di Nanni Loy, presentato dal direttore della fotografia Sergio D’Offizi.