Quattro anni di gestazione, due di montaggio e 300 ore di girato, per raccontare in documentario vita e atmosfere di un monastero benedettino sulle Alpi francesi. E' il caso del Grande silenzio, sperimentazione quasi interamente muta, capace in Germania di totalizzare una media per sala superiore a Harry Potter. Il documentario, presentato all'ultima Mostra del Cinema di Venezia e poi premiato al festival del cinema spirituale Tertio Millennio, esce il 31 marzo in sala grazie alla Metacinema. Al regista Philip Gröning, in passato autore di altre opere sperimentali come Trockenschwimmer, The Last Picture Taken e Die Terroristen, l'Infinity Festival di Alba dedica una retrospettiva dal 31 marzo all'8 aprile. "La mia presenza e quella della macchina da presa all'interno del monastero - racconta in un'intervista rilasciata per il catalogo della manifestazione -, mi sembravano all'inizio tanto oltraggiose che osavo appena effettuare qualche ripresa. Per i monaci, invece, non sembrava un grande problema: in un mondo in cui i media hanno scarsa importanza, la macchina da presa non ne ha praticamente nessuna". Da qui la scelta del regista di superare il problema concentrandosi sui primi piani: "La forma più diretta possibile di confronto con i monaci, il pubblico e il mezzo tecnico", la chiama. "E' soltanto quando ho compiuto questo salto e riconosciuto la legittimità della macchina da presa che ho trovato il film".
L'idea del Grande silenzio risale addirittura al 2001. Poi però una lunga pausa, durante la quale Gröning sembra accantonare il progetto: "E' esattamente questo che lo ha reso possibile - spiega ancora nell'intervista, pubblicata sul numero di aprile della Rivista del Cinematografo -. Con l'insistenza non avrei ottenuto i permessi né trovato la forza per realizzarlo". Le riprese iniziano nel febbraio del 2002. Unica condizione posta dai monaci: l'assenza di una vera e propria troupe cinematografica. Gröning si trasferisce così per sei mesi nel monastero della Grande Chartreuse. Con lui soltanto un assistente, preposto alla cura degli aspetti tecnici e alloggiato in una dependance all'esterno della struttura. "Il tutto - racconta il regista - è iniziato con un lento processo per l'acquisizione della fiducia. Più che dei monaci verso di me, si è trattato però di abituarmi all'idea che che potessi davvero girare lì dentro". Da allora una crescente confidenza col luogo e soprattutto la scoperta di un registro comunicativo del tutto nuovo: "Il rapporto coi monaci avveniva in gran parte senza parole - ricorda Gröning -. Era costruito sullo scambio di sorrisi e saluti rituali nel chiostro e nei corridoi". Incredibile, nota ancora il regista, quanto calore potessero esprimere questi piccoli gesti: "La semplice condivisione degli stessi momenti alimentava la sensazione di essere ben accetti. La sera, dopo aver acceso il fornelletto, il solo vedere del fumo che proveniva dalla cella accanto era un momento di pura gioia".
Rinunciando a luci artificiali, commento musicale e voce narrante, Gröning ha così documentato la vita dei monaci, restituendo la magia di quel Grande silenzio che da' il titolo al film: "Nel corso delle riprese ho capito che non è mai tale - spiega -. Fino ad allora non avevo mai curato le registrazioni in prima persona. Poterlo fare per la prima volta all'interno di un monastero mi ha fatto capire che il silenzio è invece la presenza, e il contatto, con tanti piccoli suoni. Ascoltare la moltitudine di rumori che si rivelavano nelle cuffie mi ha fatto scoprire l'universo dei suoni. Un'esperienza completamente nuova, che ha affinato molto la mia percezione". Sperimentale, come tutto il resto, anche l'alta definizione scelta per le riprese. Quando Gröning inizia a studiarla, nel 2001, si tratta ancora di un formato pionieristico: "Era stato utilizzato da George Lucas per Star Wars e da un celebre documentario della BBC, ma per il resto era praticamente sconosciuto. Circolavano voci allarmanti, secondo cui sarebbe stato impossibile girare senza il supporto di un ingegnere e di una squadra di tecnici". Empirica e vincente, la prova a cui il regista ha poi affidato la scelta: "Ho posto una condizione - prosegue -: se avessi capito come funzionava in mezz'ora, bene. Altrimenti non ne sarebbe valsa la pena". Per sopperire a quella che Gröning definisce come "strana caratteristica della HD di eliminare la sensazione della percezione del tempo", il regista ha poi integrato il girato con alcune riprese in Super8.