“Credo nel diavolo? Credo in tutto, e in niente, come Jung”. Così il premio Oscar Anthony Hopkins, a Roma per la presentazione del thriller psicologico Il rito, che Warner Bros. porta in sala l'11 marzo. Nel film, diretto da Mikael Hafstrom, scritto da Michael Petroni e ispirato al libro omonimo di Matt Baglio (Sperling & Kupfer), Hopkins interpreta Padre Lucas, un esorcista eterodosso e leggendario che vive in Italia, a cui viene inviato quale apprendista il seminarista americano Michael Kovak (l'esordiente Colin O' Donoghue), scettico e dubbioso della sua stessa fede.
Nel cast anche Alice Braga, nei panni di una giornalista chiamata a indagare sulle pratiche esorcistiche, Toby Jones e Rutger Hauer, Il rito si è avvalso della consulenza di Padre Gary, gesuita ed esorcista nel nord della California. “Mi hanno offerto questo progetto, il regista era buono e ho accettato: d'altronde faccio l'attore”, taglia corto Hopkins, che incontrando la stampa si entusiasma solo parlando della sua attività di compositore: “L'austriaco Andrè Rieu sta musicando un mio valzer, che diventerà un cd: in estate farò anche due concerti a Cardiff e Birmingham”.
Fatti i complimenti ad Angelina Jolie e Sean Penn per il loro impegno umanitario in Afghanistan e Haiti, l'attore gallese dichiara di ispirarsi a Socrate: “So di non sapere” e quindi invita a “fuggire da chi pensa di avere la verità in tasca, e di conseguenza cerca di imporla: Gengis Khan, Hitler e Mussolini”.
Dopo aver rifiutato con palese irritazione la possibile analogia tra Hannibal Lecter e Padre Lucas (“Domanda stupida, non rispondo”), l'attore, che ha concluso le riprese di Thor e prossimamente sarà diretto da Fernando Meirelles in 360 (sceneggiatura di Peter Morgan, nel cast Jude Law, Rachel Weisz, Ben Foster), illumina sul suo percorso esistenziale: “Mio padre era ateo, e così sono cresciuto. Ma progressivamente e lentamente, sono sceso a patti con qualcosa che va oltre le mie possibilità”.
Dichiarandosi contrario alla soppressione delle religioni: “La Russia chiuse le chiese nel 1917, ma come abbiamo visto non riuscì a estinguere la domanda religiosa”, sposa il libero arbitrio: “Il male è connaturato all'uomo: bisogna fare le scelte giuste”, tesse l'elogio della “superficialità”: “Non siamo profondi, nessuno di noi lo è” e, infine, ricorda la sua infanzia difficile: “Ero molto isolato, bullizzato e ostracizzato: a un bambino che mi ha scritto di analoghe esperienze, ho consigliato di incanalare questa rabbia quale energia vitale, può divenire un dono”.
Confessando la predilezione per “registi non difficili: avevo imposto ad Otto Preminger di non venire insultato, infatti poi il film non l'ho fatto”, Hopkins si dice scettico di riuscire a portare Hemingway sul grande schermo: “Se ne parla da anni, finché non mi ritroverò la macchina da presa davanti non ci credo”, ma svela i suoi segreti d'attore: “Leggo una battuta anche 400 volte: solo se ho il pieno controllo della materia, la recitazione mi viene naturale”.
Questo l'attore che il giovane collega Colin O' Donoghue definisce un “gentleman: lo osservavo per imparare, e mi ha dato consigli: “Hai una bella faccia, belle sopracciglia, ecco, non le muovere, perché il pubblico è intelligente, non bisogna forzare la recitazione”. “Non ho una relazione personale con il diavolo e non so discernere tra disagio psichico o male da esorcizzare: sono un attore, non uno psicologo”, prosegue O' Donoghue, precisando come “Il rito non è Hollywood, gli esorcismi sono proprio così, parola di Padre Gary”.
“Sullo schermo Hopkins può anche spaventare, ma non nella vita reale: è dolce”, aggiunge Alice Braga, che definisce il film uno “dramma psicologico” e sul diavolo non ha dubbi: “Non ho idea di che forma abbia, ma di certo non ha le corna e la coda”. E nemmeno sul male: “Esiste, basti vedere qual che accade in Egitto e in Libia”. Figlia di giornalista: “Papà ha visto il film e mi ha promosso”, l'attrice brasiliana (recentemente nel cast di On the road, da Kerouac) cita tra i registi italiani prediletti Scola e Fellini, più Gianni di Gregorio: giurata a Venezia, aveva assegnato a Pranzo di Ferragosto il premio Opera Prima, ora vorrebbe vedere Gianni e le donne.
L'ultima parola al regista Mikael Hafstrom: “Non è un lavoro essere una celebrità, ma essere un attore: Hopkins è un grande professionista, racconta storie sul set, è generoso e premuroso”. E sul film: “Non è solo la storia di un prete cattolico, ma di un ragazzo che cerca la propria strada: la religione, Dio, lo yoga, vale tutto. Tutti abbiamo dei demoni: noi andiamo dallo psichiatra, qui (Italia, Ndr) qualcuno va dall'esorcista”.
E c'è spazio pure per la polemica: “Il rito non è un horror hardcore, ma un dramma, forse un thriller, psicologico: non si può fare felici tutti, noi abbiamo cercato di andare in profondità anziché sugli effetti. Oggi il pubblico è molto impaziente, ma ricordiamoci: nella prima ora dell'Esorcista non accadeva nulla”.