“Non ci si pensa mai, ma un certo film con lo stesso regista e la stessa troupe non sarebbe lo stesso se avesse un produttore diverso” sostiene Donatella Palermo, produttrice tra le più intrepide del cinema italiano. In trent’anni di attività ha dato fiducia agli allora esordienti Roberta Torre e Toni D’Angelo, ha vinto l’Orso d’Oro a Berlino e sfiorato l’Oscar insieme a Gianfranco Rosi, ha affiancato Paolo e Vittorio Taviani da Cesare deve morire in poi.

E proprio grazie a Leonora addio, l’ultimo film di Paolo Taviani, il primo diretto dopo la morte del fratello, Palermo ha ricevuto il premio Franco Cristaldi per il miglior produttore del Bif&st, il Bari International Film&Tv Festival.

Matteo Pittiruti, Dani Marino e Dora Becker in Leonora addio - @Umberto Montiroli

“È un film leggero sulla morte – riflette Palermo, in dialogo con Enrico Magrelli sul palco del Teatro Petruzzelli dopo la proiezione di Leonora addio – e sull’amore. Paolo e Vittorio ci pensavano a dai tempi di Kaos, un altro film tratto da Pirandello. Come lo scrittore, anche Vittorio ha lasciato disposizioni simili: voleva che le sue ceneri fossero disperse senza un funerale. Paolo ha novant’anni, ma è un maestro con il cuore puro di un ragazzo. Dice di aver girato questo film con Vittorio sulla spalla: erano una sola persona”.

Produrre Leonora addio è stata un’impresa: “Non è difficile trovare i soldi se hai un buon progetto. Il problema è sui tempi lunghissimi: sto ancora aspettando 600mila euro. È stato un film itinerante, con un regista anziano da proteggere dal Covid e anche per questo abbiamo avuto molti problemi nella gestione del virus. Ma quando lavori a un film così importante ti dimentichi di tutte le difficoltà”.

Spesso non pensiamo all’importanza del produttore per un film: ci concentriamo di più sui registi e su chi vediamo di fronte alla macchina da presa. E il ruolo del produttore è cambiato negli ultimi decenni. Cosa fa un produttore, oggi? “È un complice – spiega Palermo – che deve difendere i registi da tutto: dalla troupe, dalle cose esterne e soprattutto da se stessi. Seguo molto la fase di preparazione: mi piace osservare il percorso dell’idea che si fa corpo, è quasi una magia. Sul set invece vado poco: è il luogo delle forze creative e il produttore deve intervenire solo se c’è un problema. Deve stare zitto, parlare prima o dopo”.

Produttrice per caso, Palermo nasce sceneggiatrice di fumetti: “Ho scritto per Diabolik e Skorpio: prendevo ispirazione dai vecchi fotoromanzi e dalle storie degli amici. Ho fatto anche i test psicologici, che col senno di poi è una competenza ideale per un produttore. Poi un giorno ho trovato il cane abbandonato di una produttrice americana e mi ha portato sul set di un film di Francesco Rosi. Ma non mi piacevano i rapporti falsi che si creavano nel cinema industriale”.

Poi la svolta con Tano da morire: “All’inizio non era un musical, era impostato con colori tendenti al nero. A un certo punto Roberta Torre ha deciso di virare verso la pop art e il musical: l’ho trovata un’idea geniale le sono andata dietro. Il film è andato benissimo, Caterina Caselli ha acquistato i diritti delle canzoni per 70 milioni di lire”.

Una collaborazione, quella tra Palermo e Torre, ancora attiva: “Stiamo lavorando a due film. Uno, Le favolose, è in fase di montaggio: parla delle donne trans che, dopo la sofferenza del percorso di transizione, quando muoiono tornano nella disponibilità delle famiglie. E le famiglie le seppelliscono con i vestiti da uomo, negando la loro identità. È un film su canovaccio che tocca il cuore. L’altro è Mi fanno male i capelli, con Alba Rohwracher e Filippo Timi: è la storia di una donna che perde l’identità è si convince di essere Monica Vitti. La grande attrice apparirà in bellissimi materiali di repertorio. Siamo a metà riprese”.

Paolo Del Brocco, Pietro Bartolo, il regista Gianfranco Rosi e la produttrice di Fuocoammare Donatella Palermo (foto di Pietro Coccia)
Paolo Del Brocco, Pietro Bartolo, il regista Gianfranco Rosi e la produttrice di Fuocoammare Donatella Palermo (foto di Pietro Coccia)
Paolo Del Brocco, Pietro Bartolo, il regista Gianfranco Rosi e la produttrice di Fuocoammare Donatella Palermo (foto di Pietro Coccia)
Paolo Del Brocco, Pietro Bartolo, il regista Gianfranco Rosi e la produttrice di Fuocoammare Donatella Palermo (foto di Pietro Coccia)

Un capitolo importante della carriera di Palermo è il legame con Gianfranco Rosi: “Sono orgogliosa di aver prodotto Fuocoammare, un film su eventi terribili che non spettacolarizza la morte. È stato emozionante sentire l’impatto sul pubblico: è qualcosa che succede solo quando l’arte riesce a rendere universali le cose della vita. E così Notturno, che racconta come la vita può essere più forte di tutto: Gianfranco cercava di raccontare come la vita riesce a sopravvivere nonostante la guerra. E l’ha fatto andando ai margini, non dentro il conflitto. Non lo racconta mai, ma Rosi ha rischiato più volte la vita per quel film: una volta per poco non è stato rapito in una palude, un’altra ha quasi rischiato di essere ucciso da un cecchino”. Ci sarà un terzo film: “Non voglio parlarne ma Gianfranco sta girando in qualche parte del mondo. Prevediamo almeno due anni di lavoro”.

Oltre ai fratelli Taviani (“Amavo già il loro cinema, ero molto intimorita da loro ma ascoltavano sempre ciò che dicevo”), Palermo ha prodotto gli ultimi film di altri grandi maestri del cinema italiano, Le ombre rosse di Citto Maselli e Lettere dal Sahara di Vittorio De Seta. E proprio a quest’ultimo sono legate gioie e sofferenze: “Dandogli la possibilità di fare un film ho trovato un motivo per essere produttore. Aveva 84 anni, doveva girare a Lampedusa, Torino e in Africa. Abbiamo attraversato mille difficoltà. Quando invitano il film a Cannes – e non era ancora terminato – lui ha smesso di montarlo: voleva più soldi per continuare. Glieli negai, aveva già ricevuto un compenso importante. Infatti la prima mezz’ora è bellissima, il resto non è stato montato. È uscito due anni dopo, Marco Müller, allora direttore artistico della Mostra di Venezia, ci ha voluto anche se sapeva che il film non era perfetto. Era un omaggio a un grande maestro”.

Senza nascondere l’emozione, Palermo svela un suo rimorso: “Ho rifiutato di produrre l’ultimo film di De Seta. Abbiamo litigato e lui mi ha detto: ‘un regista fin quando lavora non muore’. E poi è morto. Mi aveva fatto soffrire troppo, per lui i soldi erano una specie di malattia. Ma ho sbagliato perché già nel chiedere c’è un valore, c’è un coraggio. Però allora non lo sapevo. Quando De Seta girava era davvero un mago: le cose avvenivano come se fossero reali, faceva in modo che tutto accadesse. Voleva realizzare una vita di Gesù scritta da un giapponese, da girare in Marocco. È un senso di colpa che non mi lascerà mai”.

 

Per il futuro c’è un altro film di Paolo Taviani, già in fase di scrittura (“Mi piace lavorare con i grandi vecchi, ma voglio produrre anche il film di un quindicenne!”). E non solo: “Lo Stato mette a disposizione abbastanza risorse il cinema. È il cinema che deve reinventarsi in come si propone. Dopo la guerra nacque il neorealismo, dopo il Covid ci sarà una risposta simile. Oggi si sta muovendo qualcosa, non so bene cosa ma qualcosa c’è. Ciò che è indiscutibile è che il cinema che conoscevamo non si può più fare. Dobbiamo cogliere questo cambiamento e prendere strade nuove”.