Dopo aver visto il terzo e conclusivo capitolo di Batman, viene da chiedersi se a Christopher Nolan non stia accadendo quello che era già capitato a Orson Welles all'indomani del successo di Quarto potere: «ha raggiunto la cima troppo in fretta, e poi ha potuto solo scendere». Un'esagerazione certo, non fosse altro che il regista inglese - con il dovuto rispetto - un Quarto potere fin qui non l'ha mai realizzato. Eppure dopo aver toccato l'apice della propria carriera con Il cavaliere oscuro (2008) - che va considerato al pari di The Prestige la summa del proprio lavoro, il mix riuscito di autorialità e spettacolo, (cinema di) pensiero e (cinema di) azione - qualcosa sembra essersi inceppato nel poderoso congegno poetico/narrativo di Nolan. Intendiamioci: i suoi film continuano a riempire le sale e a incassare palate di soldi; capiamoci: si tratta sempre di blockbuster neurodotati, prodotti sui quali val la pena fermarsi, un attimo, a discutere; ribadiamolo: tecnicamente Nolan è un mostro, alcune sequenze di The Dark Knight Rises lasciano stupefatti per la complessità di realizzazione e per la perizia con cui sono state realizzate (l'incipit nell'aereo e "tra" gli aerei; la scena madre allo stadio) ed esistono ad oggi pochissimi altri registi capaci di gestire macchine produttive così complesse con pari autorità ed efficienza.
Eppure in quest'ultimo lavoro, come nel precedente (Inception), quell'equilibrio risicato tra arte e industria, riflessione e intrattenimento pare leggermente alterato. Spezzato no, non del tutto, non ancora. Ma è come se un piccolo, quasi impercettibile, strattone l'avesse reso meno stabile. C'è qualcosa di troppo. Lo avevamo ravvisato anche in occasione di Inception, operazione d'incastri e di specchi talmente vertiginosa da rischiare costantemente di sfuggirgli di mano e schizzare via come la trottola che gira e rigira nel film. Molte, moltissime ambizioni, personaggi, situazioni, temi, caratterizzano anche Il cavaliere oscuro - Il ritorno. Troppi per poterli sviluppare tutti, dando a ciascuno il giusto peso, lo spazio necessario, il tempo richiesto. E dire che il film dura più di due ore e mezza. Non ci si annoia per carità, ma la sensazione è che lì dentro sia stato tutto eccessivamente compresso. C'è poca compattezza, specie se paragonata alla straordinaria coesione narrativa del precedente Batman.
Imperdonabile poi per uno come Nolan il ricorso agli abusatissimi escamotages del genere (vedi gli interventi salvifici del protagonista nei confronti di Catwoman e di Catwoman nei confronti del protagonista, sempre assurdamente puntuali), mentre è rintronante l'uso dei dialoghi per spiegare complessi processi cognitivi e drammaturgici.
Affiora un po' di stanchezza, quella che non gli permette stavolta di mantenersi all'altezza delle proprie intenzioni, trovando come altre volte soluzioni non scontate ai vari problemi di costruzione che un progetto enorme come questo inevitabilmente presenta. Ripetiamo: forse il problema è all'origine, nella presunzione che avrebbe potuto tenere tutto insieme, che avrebbe saputo trasformare l'ammasso abnorme di lamiere e sotterranei, finestre che si aprono e botole che spuntano improvvise in un bell'edificio elegante e razionale, un edificio in cui ciascuno avrebbe trovato infine il suo posto.
E' un disturbo narcisistico tipico dell'artista di genio. Prendiamo, di nuovo, Orson Welles, e il suo fallace tentativo di migliorare Quarto potere. Welles è parso spesso sopraffatto dall'ambizione di superare il suo capolavoro, e di replicare a un livello più alto la perfetta fusione di tecnica e filosofia, vitalismo e rigore, titanismo e umanesimo, America ed Europa (la cultura). E' stato semplicemente smisurato, con il buono e il maldestro che ne è conseguito. Il riferimento a Welles è ardito ma non del tutto inopinato. Non è forse titanica anche l'impresa cinematografica di Nolan? Parimenti smisurata la sua ambizione? Squisitamente filosofica la sua preparazione? Darwin e Spengler e soprattutto Nietzsche, letture dell'uno e dell'altro (in fondo tutta la trilogia del Cavaliere oscuro potrebbe essere una rivisitazione - critica? - del tema del superuomo). Per non dire dell'incrocio di barbarie e civiltà a cui le opere di entrambi ineluttabilmente ci conducono.
D'accordo, Welles ha operato ai margini dell'industria, mentre Nolan ne è il core business. E ovviamente Welles è stato uno sperimentatore, un inventore di tecniche cinematografiche, Nolan piuttosto un abile esecutore. E di sicuro Welles è stato un regista del Tempo, della profondità di campo, del piano sequenza, Nolan invece predilige il Movimento e il Montaggio. Resta però la suggestione, supportata non solo dalle comuni reminiscenze filosofiche, ma anche da una visione condivisa di cosa voglia dire essere regista e in che cosa consista precisamente il cinema: un meraviglioso, probabilmente diabolico, dispositivo illusionistico. Se F for Fake era il diario di un illusionista di genio consapevole di svolgere un mestiere farisaico (e lo stesso Welles, tra le altre cose, era un prestidigitatore abilissimo), The Prestige è il saggio che Nolan ha voluto scrivere per dire del suo rapporto col dispositivo, e in generale della natura falsificante del mezzo. Con la decisiva differenza che Welles è fin troppo europeo nel registrare lo scacco di una sconfitta - la sconfitta della verità: sempre inattingibile, ambigua, multipla - mentre a Nolan che il cinema debba essere vero importa poco. L'essenziale è che sia persuasivo. Arriviamo qui al nocciolo forse del problema, a come il cinema di Nolan abbia sempre covato in fondo questa ossessione per la retorica. Sono le bugie a cui vogliono credere lo smemorato di Memento e l'ispettore senza sonno di Insomnia. Per non dire di Inception (l'idea inculcata nella mente, no?), concepito interamente come trompe l'oeil discorsivo. E' uno scontro di retoriche anche quello che oppone Bane a Batman, al di là di ogni abbaglio sottotestuale (come la discussione oziosa e capziosa su quale sia il "vero" credo politico del film). Ed è illusione credere alla bontà dell'uno o dell'altro. Bane inganna ma Batman - lo vedrete nel finale - non è da meno.L'imbroglione principale resta però Nolan. Non lo nasconde, poco male. Non chiediamo di essere ingannati di meno. Ma di essere ingannati meglio la prossima volta.