"L'Italia non è più divisa tra destra e sinistra, ma tra chi è una celebrity televisiva e chi no". Parola di Erik Gandini, il regista italo-svedese di Surplus che porta a Venezia l'attesissimo Videocracy, evento speciale di SIC e Giornate degli Autori, dal 4 settembre in sala con Fandango.
Da Lele Mora a Fabrizio Corona passando per i reality, il documentario inquadra il "bestiario" del piccolo schermo per rintracciare la genealogia del nostro sistema politico-mediatico, che da 30 anni ha un nome e un cognome: Silvio Berlusconi, "il Presidente: prima della televisione, poi di tutto".
Che cos'è Videocracy?
Senza retorica intellettuale e luoghi comuni, un documentario realizzato per gli amici svedesi da un italiano che accende la tv e prova tristezza. Non a caso, sembra una fiaba.
Come la racconti?
Leggo i giornali, sono informato delle "vicissitudini" del Presidente, ma da filmaker mi interessa la mia percezione, non la realtà dei fatti. Non mi identifico in Michael Moore, piuttosto con Antonioni: la dimensione del mio lavoro non è politica, ma emotiva.
Come siamo arrivati a questa "telecrazia"?
Quando sulle tv locali degli anni '70 comparvero i primi spogliarelli casalinghi in bianco e nero (con cui si apre il film, NdR), avremmo riso all'idea che fosse iniziata una rivoluzione culturale, un new world order. Ma è quel che è successo.
E oggi?
Oggi, ci sono i Mora e i Corona, personaggi che dicono molto del Sistema sopra di loro: sono i soldati di Berlusconi.
Eppure Corona si è costruito un'immagine da gangster, ribelle a suon di scatti contro lo Stato e lo star-system.
Si presenta come il Che Guevara contro la videocrazia, il novello Robin Hood che ruba ai ricchi per dare a se stesso, ma anche la sua è una ribellione funzionale al Sistema del Presidente.
Mora rimpiange che Berlusconi non sia come Mussolini e ci fa sentire canzoni fasciste dal suo telefonino; Corona pontifica, fa ospitate in discoteca e si mostra nudo sotto la doccia: perché?
Mora meno, Corona molto, entrambi sono consapevoli della propria immagine, ma non si rendono conto di quel che fanno e quel dicono: perché in Italia tutto questo è normale.
Così si sono concessi totalmente...
Da un italiano forse non si sarebbero fatti avvicinare, ma la componente esotica di uno svedese li lusingava. Sono stato molto aperto su quanto stessi facendo, ma da grandi egocentrici quali sono credo non gliene importasse nulla. Inoltre, sono completamente analfabeti di documentario: l'idea che un operatore possa avere un cervello e un'ispirazione artistica gli è completamente estranea.
Che rimarrà di Videocracy?
Spero una costatazione: fun is not fun anymore. Nemmeno in tv.