"Non credo che una storia sia rappresentativa del tutto, una storia può raccontare i possibili aspetti, una parte, di qualcosa di più ampio". Ulrich Seidl torna in Concorso a Venezia 11 anni dopo Canicola, stavolta con il secondo episodio della trilogia Paradies, incentrato - come da titolo - sulla Fede (Glaube): "La trilogia si chiama Paradiso perché racconta di persone che in, qualche modo, cercano di trovare il proprio, se poi invece arrivano all'inferno questo è un altro discorso", spiega il regista austriaco, ormai habitué della provocazione e dello scandalo: "Questo film - prosegue Seidl - forse scioccherà qualcuno, ma in realtà io ho portato sullo schermo la figura di una donna che cerca semplicemente di soddisfare i propri desideri". La donna in questione è la viennese Annamaria (Maria Hofstatter), cattolica invasata che dedica le proprie vacanze estive all'evangelizzazione metropolitana, con statua della Madonna al seguito, raggiungendo porta a porta immigrati e famiglie per condurli sulla "retta via": "Quello che mettiamo in scena è il conflitto della donna tra l'amore divino e l'amore per il marito, che ritorna dopo due anni, disabile a causa di un incidente, il conflitto tra l'amore spirituale e quello carnale, sessuale", dice ancora Seidl, che dirige nuovamente un cast misto, con attori professionisti e non: "Credo molto a questa fusione perché mi garantisce un'autenticità inaspettata. Non esistono dialoghi e le sceneggiature non vengono distribuite prima delle scene, mi baso molto sul lavoro del giorno precedente ogni volta che giriamo".
Professionista, e sodale di Seidl, con cui ha lavorato tre volte, l'attrice protagonista del film, Maria Hofstatter: "Come sempre si è trattato di un ruolo abbastanza estremo - racconta l'interprete -, la preparazione è stata molto lunga e probabilmente ho sottovalutato le difficoltà che ho incontrato per capire a fondo il personaggio, al quale ho cercato di avvicinarmi andando in pellegrinaggio e trascorrendo una settimana in un convento di clausura". Al suo fianco sul set, nel ruolo del marito musulmano, per la prima volta sullo schermo, Nabil Saleh, egiziano di origine da almeno 30 anni in Europa: "Ogni straniero arriva in Europa per cercare il paradiso, ma il destino del mio personaggio cambia in seguito all'incidente che lo costringe su una sedia a rotelle e alla trasformazione della moglie". Che continua a prendersi "cura" di lui, ma solo per quello che riguarda il farlo mangiare, custodirlo: "Quel paradiso che cercava si è trasformato in un inferno, e questa è una cosa che molti stranieri devono mettere in conto anche nella vita reale, quando vengono in altri paesi dove le cose possono mutare in continuazione", conclude Saleh, convinto del fatto che una buona percentuale di divorzi sia dovuta al fatto che "molti uomini non accettano che le loro mogli inizino a trascurarli, a non occuparsi più di loro. Da musulmano, ad esempio, è una cosa che io non accetterei mai".
Questione di fede, dunque? "E' un argomento che ho già affrontato qualche anno fa nel documentario Jesus, du Weisst", dice Ulrich Seidl, che a livello personale racconta di esser cresciuto "con una connotazione cattolica molto forte, in una famiglia molto religiosa, e ho trascorso anche alcuni anni in collegio. Poi in gioventù mi sono ribellato alla morale apparente della Chiesa, ma non mi riesco ad allontanare dai valori cristiani".