"Michael Mann è un genio. Sono sicuro che il suo Miami Vice sarà straordinario e in linea con l'originale". L'attestato di stima proviene da Robert Crais, romanziere e sceneggiatore della celebre serie tv anni ‘80, a cui è ispirato il prossimo film del regista di Alì e Collateral, in Italia dal 29 settembre. "Non ho avuto niente a che fare con l'adattamento - dice Crais -, ma ripongo piena fiducia in Michael Mann. Già allora era il produttore esecutivo della serie e ha sempre avuto un grande peso nel suo sviluppo. Per questo so che non ne tradirà lo spirito, come non lo tradiranno i protagonisti Colin Farell e Jamie Foxx". Di Robert Crais è da pochi giorni in libreria per Mondatori L.A. Tattoo, nuovo thriller con la celebre coppia di investigatori Elvis Cole e Joe Pike, già protagonista di tanti suoi precedenti romanzi. A differenza di Miami Vice, dice l'autore, i loro personaggi non finiranno però mai sullo schermo: "Ho smesso di contare le offerte di studios e televisioni - racconta -, ma non cederò mai i diritti. Elvis e Joe rappresentano per me la possibilità di creare un rapporto speciale con il lettore e anche se ad interpretarli fossero attori bravissimi, questa fiducia e questa collaborazione creativa si interromperebbero".

Due personaggi ormai tanto ingombranti, di cui è quindi arrivato il momento di sbarazzarsi?
Tutt'altro. Elvis Cole e Joe Pike sono la lente attraverso cui vedo il mondo. Non riuscirei neanche a immaginare un futuro senza di loro. Ogni volta che provo ad allontanarmene, scrivendo delle storie che non li riguardano, avverto subito una fortissima nostalgia nei loro confronti.
Il boom del thriller al cinema e in letteratura: specchio del clima e delle paure di oggi?
Gran parte di questo successo credo dipendano proprio dalle incertezze che stiamo vivendo. Incertezze che non riguardano soltanto la sicurezza e l'incolumità, ma soprattutto di carattere economico ed esistenziale, come la precarietà del lavoro, la paura di non poter garantire un futuro ai nostri figli. Il romanzo poliziesco, in cui la figura dell'investigatore privato ha per definizione il compito di mettere ordine nel caos, se ben scritto può creare un'immedesimazione tranquillizzante nel lettore e dargli la sensazione di avere la propria vita sotto controllo e di non soccombere e di fronte all'ignoto.
Il suo interesse per il genere nasce da questa necessità?
Senza dubbio. La mia passione per i polizieschi risale a quando avevo 15 anni. Incominciai leggendo Raymond Chandler e da allora ho sempre amato questo genere, proprio per la sua rassicurazione subliminale, sulla possibilità di sopportare i problemi e trovare un senso alla nostra vita. E' per questo che ancora oggi, oltre che a scriverli, continuo anche a leggere i thriller.
Oltre a Miami Vice, ha scritto importanti serie come Quincy e Avvocati a Los Angeles. Qual è il suo giudizio sulla tv americana di oggi?

Sono molto scettico nei confronti dell'imperante tendenza verso i reality show. E' un tipo di televisione a cui mancano quegli elementi drammatici e umoristici, che considero fondamentali. Ci sono però anche serie molto interessanti. Una delle mie preferite si chiama Veronica Mars e ha per protagonista una giovane detective: un esempio di sceneggiatura brillante, che mi fa sperare in un futuro anche per la buona tv.   Dopo tanta televisione, la vedremo anche come sceneggiatore per il cinema?
Ho già partecipato all'adattamento di due miei romanzi, Lo specialista e L'ostaggio, e del secondo è anche stato tratto un film con Bruce Willis. In seguito a questa esperienza ho però deciso di concentrarmi esclusivamente sui romanzi. Non si tratta, come sostengono alcuni, della sensazione di uccidere un figlio, quanto piuttosto di una semplice questione di tempo. Li preferisco di gran lunga alle sceneggiature perché consentono di esprimersi più liberamente e di sviluppare progetti di più ampio respiro. Lavorare a un film significa accettare una serie di limiti e compromessi e soprattutto sottrarre del tempo prezioso a quello che considero il mio vero obiettivo di vita.