“Pigri e stupidi. Prima lo hanno detto degli irlandesi e degli italiani, e sappiamo bene quanto essi siano divenuti parte integrante del paese. Ora lo dicono dei latini. Le stesse identiche cose. Basterebbe rileggere i giornali di 100 anni fa per capire di più il presente ”.A dirlo è James Gray, uno che di dinamiche d'immigrazione ne sa qualcosa. Originario di una famiglia russa arrivata negli Stati Uniti negli anni '20, Gray ha reso esplicito omaggio alle proprie radici nel folgorante film d'esordio, Little Odessa (1994), che ha imposto il suo nome sulla scena internazionale. Ma anche nelle opere successive (The Yards, I padroni della notte, Two Lovers) il regista americano non ha mai smesso di raccontare il meticciato culturale, focalizzandosi su famiglie americane originarie di altri paesi. Ora tocca a The Immigrant, con cui James Grey torna in concorso a Cannes quattro anni dopo Two Lovers, affrontare invece il problema di petto.Siamo nel 1921, e due sorelle polacche, Ewa e Mgda (Marion Cotillard e Angela Sarafyan), sono appena arrivate a Ellis Island, la famigerata isola che ospita il centro d'immigrazione americano (dove il nostro Crialese aveva ambientato Nuovomondo), per unirsi agli zii che da tempo si sono stabiliti a New York. Le cose non vanno però per il meglio. Al loro arrivo degli zii non c'è traccia. Magda, cui viene diagnosticata la tubercolosi, viene spedita in infermeria fino ad avvenuta guarigione, mentre per Ewa, inchiodata da un'accusa infamante, scatta il decreto d'espulsione. L'intervento di Bruno (Joaquin Phoenix), un uomo enigmatico che si muove con disinvoltura nel centro immigrazione, salverà Ewa dal rimpatrio. Ma una volta arrivati a New York, le intenzioni di Bruno si riveleranno tutt'altro che genuine.L'atteso Joaquin Phoenix alla fine non è arrivato, perché impegnato a girare il nuovo film di Paul Thomas Anderson tratto da Pinchon. Va detto che il suo non è l'unico personaggio maschile di rilievo di The Immigrant. Nel cast c'è anche Jeremy Renner (interpreta un affascinante mago invaghito di Ewa) e lui, come la Cotillard, hanno risposto presente a Cannes. A differenza di Phoenix inoltre, per entrambi è la prima volta con James Grey: “Jeremy mi è stato consigliato da Kathryn Bigelow - racconta il regista -. E' un attore fantastico e ha un viso che ricorda quello di Clark Gable. Di Marion invece non sapevo granché, non avevo visto nessuno dei suoi film. L'ho conosciuta frequentando Guillaume Canet e mi ha subito fatto scattare qualcosa. Il suo volto mi ricordava quello di Renee Falconetti ne La Passione di Giovanna d'Arco”.In ogni caso la vera complicazione di The Immigrant non riguardava la scelta degli attori: "E' tremendamente complicato girare a Ellis Island - rivela Gray -. Pochissimi film sono stati realizzati lì. E' aperta tutto l'anno tranne il giorno di Natale, ed è stata trasformata in un museo pieno di negozi. Abbiamo dovuto fare le riprese eminentemente di notte, sfruttando i pochi spazi non ancora colonizzati”. Per quanto riguarda la ricostruzione di come essa appariva negli anni '20 James Gray ha preso a prestito ritagli di giornale e vecchie foto, incluse quelle scattate dal nonno al suo arrivo in America. “Più facile ricostruire New York. Rivedere un film accurato come Il padrino mi ha aiutato molto”. Di altro tipo le difficoltà sperimentate dalla Cotillard: “Ho fatto un'enorme fatica con il polacco. E' una lingua difficile e non dovevo tradire nessun accento. Ho vissuto una tremenda frustrazione nel non sapere mai se le battute che dicevo in polacco erano pronunciate nel modo giusto. Ma ho avuto un'ottima insegnante e ne sono uscita arricchita”. Immergersi in una lingua, afferma l'attrice francese, “è un po' come afferrarne la cultura che le sta dietro”. Ma è utile anche alla recitazione: “La lingua che usi cambia il tuo modo di recitare. E t'impone un nuovo linguaggio del corpo. L'ho sperimentato con l'italiano (in Blood Ties di Canet, fuori concorso a Cannes, ndr) e ora con il polacco”.The Immigrant è uno dei progetti più personali di Gray: “E' profondamente legato alla storia della mia famiglia, ma non è autobiografico. E' connesso a un livello più profondo”. Un omaggio a tutti coloro che hanno lasciato la propria terra in cerca di una nuova. Ma non solo: “E' una dedica personale al mio cosceneggiatore, Ric Menello, che ci ha lasciato due mesi fa. Mi manca moltissimo”.