“Ho letto il libro, e come già per Non ti muovere mi sono innamorata della storia e del personaggio: ho sentito la necessità di fare questo viaggio, quasi un'ossessione. Poi con la maternità ho capito ancor di più l'ossessione del mio personaggio, un desiderio particolare che tutte le donne possono capire, indipendentemente dal fatto che siano madri”.
Così Penelope Cruz, che ritrova il regista Sergio Castellitto e la scrittrice Margaret Mazzantini in Venuto al mondo, distribuito in 350 copie da Medusa l'8 novembre. E' lei a dare anima e corpo a Gemma, che si reca a Sarajevo con il figlio Pietro (Pietro Castellitto): 19 anni prima, mentre infuriava la guerra, era partita con Pietro in fasce, lasciandosi alle spalle il marito Diego (Emile Hirsch), l'amico poeta Gojko (Adnan Haskovic) a Aska (Saadet Aksoy), la ragazza scelta quale surrogata per bypassare la propria sterilità.
“Con passione e determinazione abbiamo mantenuto l'ossatura del romanzo, e la Cruz ci offre una delle sue prove più alte”, dice la Mazzantini, co-sceneggiatrice col marito regista dal proprio romanzo omonimo, mentre Castellitto parla di “avventura umana, ognuno ci ha messo parte della propria vita in quella che è soprattutto una storia d'amore, ma anche di sommersi e salvati, chi ce l'ha fatta e chi no nella Sarajevo in guerra”. Il regista punta sulla “emozione, ovvero quell'intelligenza che è la parte più luminosa e pericolosa di ognuno di noi: vita, morte, pace, guerra, mi rendo conto che è un film molto ambizioso”.
“Non è patetico, non c'è vittimismo, ma la lotta per la vita degli abitanti di Sarajevo, per questo credo sia il miglior film mai fatto sulla Bosnia”, dice Adnan Haskovic, aggiungendo di “essere stato pagato per veder recitare la Cruz… fantastico!”. “Gemma - ribatte la Cruz - non è politically correct, ma non ho avuto paura, non mi chiedo mai se sono d'accordo o simile al mio personaggio, bensì se lo capisco al 100%, questo è l'importante”.
Sulla stessa lunghezza d'onda, il regista: “Ho cercato di fare il cinema tagliando la fiction: forte messa in scena e spettacolare teatralità, non ci sono scene di passaggio, ma immagini depositarie della vita interiore dei personaggi. Ripeto, ho cercato di parlare all'intelligenza emotiva del pubblico, scegliendo anche il bisturi del melodramma”. Castellitto elogia anche il figlio Pietro: “Al montaggio ho visto come spesso avesse tradito quel che gli chiedevo, e lo fanno gli attori di talento”. Ma l'ultima parola è di Pietro: “Un papà severo? No, non era severo sul set, ma disperato”.