Calorosa accoglienza alla prima di Salvo, film d'esordio firmato dalla coppia di autori siciliani Fabio Grassadonia e Antonio Piazza. L'unico film italiano in gara alla Semaine de la critique di Cannes è stato salutato dagli applausi del Palais Miramar, che fanno seguito alle prime recensioni positive della stampa internazionale (particolarmente lusinghiera quella di Variety). Soddisfati, comprensibilmente, i due autori: "Siamo stati testardi, orgogliosi, disperatamente decisi a fare questo film, confortati dalla fiducia nel copione che avevamo scritto. Ora è un momento di gioia. Il lavoro di tutti coloro che hanno contribuito in vario modo alla realizzazione del film trova infine il suo compimento".
Salvo ostenta fin dall'inizio una forte intenzione espressiva. Nella penombra blu di una camera spoglia, su un letto rinsecchito come una branda, giace il corpo seminudo di un uomo, il sonno agitato dall'afa e dal ronzìo sotto affanno di un condizionatore rotto. E' una sequenza-quadro: gli elementi ottico-sonori e la loro composizione dicono tutto quanto c'è da sapere in merito al personaggio, rivelando una vita rannicchiata, tormentata, esposta (la nudità). Costretta in una gabbia (il giaciglio, la stanza-cella).
Un'esistere che somiglia a un meccanismo inceppato, sterile, percepito solo come rumore. Il protagonista si chiama Salvo, è un killer al soldo della mafia, che vive a Palermo, città-metonimica dove bellezza e orrore non si elidono ma si guardano, faccia a faccia (il mare e gli ecomostri). E Faccia a faccia Salvo si ritroverà con Rita, prigioniera anche lei nella sua casa di ombre, cieca dalla nascita, vista senza avere a sua volta la possibilità di vedere.
Come Mia Farrow in Terrore cieco, Rita affida all'istinto e alle orecchie le proprie possibilità di sopravvivenza: "Come mettere in scena il punto di vista di una ragazza che non vede? Di una ragazza che può sottrarsi allo sguardo altrui, o s'illude di riuscirci, solo rintanandosi dentro casa? - si chiedono retoricamente i due autori - Di una ragazza che della propria casa è regina e allo stesso tempo prigioniera? Il tipo di inquadratura scelta all'inizio del film per raccontare ciò che accade dal suo punto di vista ci sembra restituisca il senso profondo di una cecità, quello claustrofobico della vita di Rita e generi quel senso di angoscia che vogliamo il pubblico provi in quella parte di film".
Ai suoi occhi Salvo si rivelerà il salvatore. Da lei a sua volta sarà salvato. Orrore e bellezza convivono nell'ineffabile meccanismo dell'amore: "In un mondo dove un vero libero incontro fra due esseri umani è inconcepibile, il miracolo non può che essere un puro e semplice incontro: l'incontro fra i due protagonisti che li lega indissolubilmente e che fa germinare in loro il bisogno della libertà, della vita". Miracoli, dunque. Reali e simbolici e cinematografici, se il prodigio è la possibilità di un secondo sguardo, offerta a lui, a lei e all'altro (lo spettatore).
Difficile, stratificato, costruito su coordinate formali e poi, solo secondariamente, diegetiche, Salvo è il debutto nel lungometraggio di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, dopo il felice esordio col il corto Rita (2010). E' l'opera che ci riporta alla Semaine della critique di Cannes, sezione in cui mancavamo dal 2005. E' un film caratterizzato da un incipit folgorante, giocato su un continuo slittamento del discorso (dal mafia-movie al noir, dal thriller alla love-story) e su un'efficace drammaturgia sensoriale che regala tensione senza avvalersi dei soliti espedienti.
Bressonianamente trova l'emozione non cercandola, lasciando che siano le geometrie della messa in scena, l'incastro dei movimenti, dei sospiri, della musica e delle ombre a orchestrare il racconto e a portarlo al suo climax. Poi parte della sua forza espressiva si perde, attutita dalle secche di sceneggiatura (tallone d'Achille del nostro cinema) ma i due protagonisti sono perfetti (Saleh Bakri e l'esordiente Sara Serraiocco) e resta inspiegabile la "cecità" dei distributori italiani, che non hanno ancora acquistato il film. La fotografia è di Daniele Cipri. Non un mero dettaglio.