Dopo il successo veneziano - è stato evento speciale dell'ultima Mostra Cinematografica - Il mio paese di Daniele Vicari approda nelle sale dal 20 aprile. Distribuzione alternativa, quella di Vivo Film, con 10 copie in pellicola e molte di più in beta digitale, sfruttando un accordo UCCA (unione centri cinematografici arci)- ARCI, che gli permetterà una permanenza in questi punti di visione (una stima di massima ne prevede un centinaio su una rete capillare di quasi 6000) decisamente più lunga del normale, possibilmente fino all'estate.
"Ringrazio Daniele anche da parte di Joris Ivens". Così ha concluso il suo intervento Virgilio Tosi autore di una bella monografia, "Joris Ivens: cinema e utopia", sul cineasta olandese. Il motivo è semplice e lo spiega proprio Vicari. "In Cineteca mi sono imbattuto in una copia de L'Italia non è un paese povero. Mi ha appassionato e ho deciso di ripercorrere, oggi, i passi di questo regista". "Un po' come Davide Ferrario con Primo Levi" chiosa il critico Callisto Cosulich, anche lui amico del regista orange. Se quello di Ivens era un lavoro commissionato dall'Eni di Enrico Mattei (uno dei più brillanti esempi di documentari industriali che hanno permesso la scoperta e la crescita di maestri come Olmi e Bertolucci) e serviva a celebrare la scoperta delle risorse fossili, e quindi combustibili ed energetiche, nel sottosuolo italiano, qui Vicari si incentra sulla tematica del lavoro, del disagio precario. "Non potevo fare altro - racconta il regista -, fino al 1956 l'Italia era un paese prevalentemente contadino e quindi più omogeneo. Ora invece è esploso, singoli episodi non possono più essere emblematici come allora. Ho ripercorso i passi di Ivens ritrovando ancora un'Italia diseguale, divisa tra nord e sud, anche se in maniera diversa. Penso all'emigrazione verso il nord Italia e l'Europa, prima appannaggio dei poveri contadini, ora dei laureati. E' un cambiamento antropologico, questo, non schematizzabile". Ivens nel suo viaggio agiografico vuole scoprire un'Italia ricca ma si imbatterà in un Meridione disagiatissimo (le sue riprese di una famiglia di sette persone che vive in un monastero lucano sconsacrato tra sporcizia, animali e mosche gli sarebbero valse la censura Rai). "Lui, non solo in Italia, è stato il profeta cinematografico della trasformazione industriale. Io invece ho voluto riscoprire un tema fondamentale, universale, tanto quanto l'amicizia e l'amore. La differenza è che il lavoro è vittima di una rimozione sistematica da parte degli intellettuali che va di pari passo con quella avvenuta per il realismo nel nostro cinema. E che ha provocato la mancanza di coscienza critica da parte della classe dirigente. Riportandolo al centro della riflessione, invece, si può ricominciare a ragionare davvero". Vicari, sempre attento ad ogni novità, comunque, non si ferma qua. Pensa ad un lavoro multimediale e innovativo sul drammatico G8 di Genova del 2001 e nel frattempo utilizza ogni canale per promuovere, anche intellettualmente, il suo film. "Parte attiva di questa operazione è il sito, a breve on line, www.ilmiopaese.it. Qui tutti potranno mandare, come si fa con You Tube, riprese in cui raccontano il loro lavoro, il loro territorio, le loro esperienze. Di qui nascerà un nuovo documentario, Il mio paese 2.0, che sarà un lavoro collettivo che io mi limiterò ad editare". Cosa non si fa e si pensa per superare lo scetticismo sul cinema e in particolare su tutto ciò che non è fiction. "La diffidenza, come la diversità, si abbatte con la conoscenza", conclude sornione Vicari.