Che anno, il 1939, per la storia del cinema! Negli USA approdavano Ombre rosse di Ford, Donne di Cukor e Via col vento di Fleming. La Francia rispondeva con Alba tragica di Carnè e La regola del gioco di Renoir (l'autarchica Italia con Grandi magazzini di Camerini). Ma sempre a firma di Victor Fleming nello stesso anno usciva un musical bizzarro e coloratissimo che conquistò il pubblico dell'epoca e avrebbe poi influenzato intere generazioni di bambini: Il mago di Oz. Costato la faraonica cifra di 2.700.000 dollari, in parte investiti nella realizzazione delle sfavillanti scenografie e dei circa 4.000 costumi indossati da ben 1.000 tra attori e comparse, il film festeggia oggi i suoi primi 70 anni senza (quasi) avvertire i segni del tempo. E' vero, ogni tanto si scorge il filo che fa ondeggiare la coda del leone, ma non si può certo dire che con le sue straordinarie invenzioni visive, tra cui una casa sradicata da un tornado e la liquefazione di una strega, l'esperto di effetti speciali Arnold Gillespie non abbia fatto un eccellente lavoro.
Precursore del fantasy fiabesco - genere cui contribuiranno in seguito sul fronte dell'animazione Alice nel paese delle meraviglie e Le avventure di Peter Pan, o ancora La storia infinita e Willow - Il mago di Oz racconta di Dorothy Gale, una bambina che dal natio e monocromatico Kansas si trova trasportata con il suo cagnolino Toto in un mondo sconosciuto, raffigurato in uno sgargiante e antinaturalistico Technicolor (a cui è debitore, tra i tanti, Tim Burton per La fabbrica di cioccolato), da dove comincia un viaggio alla ricerca del misterioso mago del titolo. L'itinerario compiuto dalla bambina è, in realtà, un necessario percorso di formazione preadolescenziale - seppur in un mondo di finzione, com'è d'altronde anche quello del cinema - che d'ora in poi la potrà aiutare a discernere il vero dal falso, il bene dal male. Il tornado che strappa la sua casetta dal suolo polveroso del Kansas, la fa veleggiare mostrandoci il mondo come su uno schermo cinematografico per poi farla approdare in un paesaggio variopinto, tutto da scoprire, è in realtà insito nel cognome stesso di Dorothy Gale. E' quel "vento fortissimo" ardentemente atteso e che incarna il desiderio gioioso del cammino che ciascuno deve intraprendere per vedere ciò che ai propri occhi non è ancora approdato, esplorare ciò che gli è ancora ignoto. E', in sostanza, l'essenza stessa del cinema americano: il movimento continuo, l'andare oltre, l'on the road che caratterizza migliaia e migliaia di pellicole, dove paesaggi sconfinati sono mostrati sul grande schermo proprio perché possano essere attraversati e vissuti, non importa se soltanto con la fantasia.
Come ha affermato Salman Rushdie in un saggio del 1992, Il mago di Oz è "un film sulla gioia di partire, di lasciare il grigiore e fare ingresso nel colore, di ricrearsi una nuova vita nel "luogo dove non ci sono guai".
Over the Rainbow è, o dovrebbe essere, l'inno di tutti gli emigranti del mondo, di tutti quelli che vanno alla ricerca del luogo in cui "i sogni che osi sognare realmente si avverano"».  Ed è, ovviamente, il leitmotiv del film, uno dei brani più celebri della storia delle colonne sonore. La canzone intonata da Dorothy - premiata con l'Oscar, così come la direzione musicale – è stata assimilata e rielaborata in mille modi dalla cultura popolare (Vecchioni ne ha tratto ispirazione per un brano di riconoscibile matrice satirico-politica) e naturalmente dal cinema stesso (recentemente sia in Australia che in Milk).
Tra i tanti omaggi ricordiamo quello di John Woo, che in Face/Off  la fa ascoltare in cuffia ad un bambino spaurito per attutire il fragore di una sparatoria. La voce e il corpo di Dorothy erano quelli della 16enne Judy Garland, di cui in questi giorni ricorrono i 40 anni dalla morte. Una vita breve ma intensa, la sua, le cui tappe sono scandite proprio dal cinema: Oscar speciale per il film di Fleming, sposò Vincente Minnelli dopo averlo conosciuto sul set di Incontriamoci a Saint Louis e da lui ebbe una figlia, l'eclettica Liza, che ha raccolto in pieno l'eredità materna. Nella sua biografia, Caterina Boratto racconta di una visita agli studi MGM durante la lavorazione del Mago di Oz, con il regista isterico e la piccola diva sperduta che fugge in lacrime dopo una serie infinita di ciak. Ma noi preferiamo ricordarla con le scarpette rosso rubino ai piedi e lo sguardo oltre l'arcobaleno.