Fortuna che Scorsese c'è. In una stagione indiscutibilmente buona per il cinema americano (tanti i titoli che a buon diritto ambiscono a un riconoscimento prestigioso) ma insopportabilmente pacifica, The Wolf of Wall Street, ultima fatica del regista italoamericano (in Italia dal 23 gennaio), ha finito per rovesciare quantità industriali di pepe nella solita e insipida minestra hollywoodiana (quella servita, per intenderci, ai commensali degli Oscar). Un pizzicore che si era già avvertito prima dell'uscita in patria (avvenuta il 25 dicembre, Natale: apriti cielo!), quando  in commissione censura i suscettibili custodi della morale americana sgranarono gli occhi di fronte alla temerarietà delle imprese sessuali diDi Caprio, alias Jordan Belfort, dissoluto truffatore nella Wall Street dei radiosi anni '80. Leggenda vuole (le voci non sono mai state né confermate né smentite, dunque rispondono molto presumibilmente al vero) che allora gli incorruttibili soloni avessero tuonato contro la licenziosa creatura scorsesiana (il succo della ramanzina? Va bene la frode organizzata del capitalismo finanziario, ma sulle speculazioni fuori mutanda non si transige!), minacciando il mortal divieto ai 17 anni. Praticamente come fosse un film porno. Si racconta di qualche aggiustamento in sala montaggio e a naso turato dell'inverecondo maestro, il taglia e cuci necessario perché The Wolf of Wall Street approdasse in sala con meno peccati e un pallido ostativo per i minori non accompagnati. Finita qui? Nemmeno per sogno. Il film nel frattempo viene visto, sviscerato, giudicato, senza che si trovi una reazione con un briciolo d'equilibrio. C'è chi lo ritiene il miglior Scorsese dai tempi di Casino ("Un affascinante, rivoltante, bizzarro, frenetico, esilarante e devastante capolavoro sull'immoralità", Los Angeles Times) e chi lo affossa senza appelli (“Pretende di essere la rappresentazione di un comportamento disgustoso, immorale, corrotto e osceno, ma è reso in uno stile talmente esuberante da divenire un esempio di cinema disgustoso e osceno", The New Yorker). Anche tra amici e colleghi opinioni laceranti, si passa dal “cinguettio” entusiasta di Darren Aronofsky a quel “L'ho odiato profondamente” postato su Facebook da Hope Holiday.Ed è proprio la 75enne attrice a raccontare un piccante aneddoto sull'accoglienza riservata al film. Subito dopo la proiezione losangelina riservata ai membri dell'AMPAS (l'Academy of Motion Picture Arts and Sciences), mentre in platea ci si divideva tra grida di giubilo e infamanti ululati, un noto sceneggiatore americano (di cui la Holiday non fornisce le generalità) si sarebbe avvicinato a uno stupefatto Scorsese per urlargli in faccia: “Vergognati!”. Questo per dire del clima che circonda il film alla vigilia dei Golden Globes (il prossimo 12 gennaio) e in vista delle future nomination agli Oscar (il 16 gennaio). Come se non bastasse, è di fresca battitura la notizia secondo cui The Wolf of Wall Street sarebbe il film con più “fuck” nella storia del cinema. Non un primato lusinghiero. Nel frattempo la critica americana si accapiglia tra favorevoli e contrari, con divisioni lancinanti addirittura all'interno della stessa testata. E' il caso di Variety, dove a un David S. Cohen che ne difende a spada tratta le intenzioni (ricordando i cartelli che appaiano a un certo punto del film e che condannano apertamente il comportamento di Belfort e di Wall Street), risponde Whitney Friedlander che parla apertamente di “glorificazione criminale”.Insomma siamo alle solite, non solo perché Scorsese già altre volte è finito nella bufera (senza scomodare le minacce e i piccoli atti di sabotaggio messi in atto dai fanatici cristiani all'indomani dell'uscita in sala de L'ultima tentazione, chi non ricorda gli avvelenati strali lanciati contro Casino e la sua presunta indulgenza nei confronti degli impresari del malaffare?), ma perché sembra di ripassare il copione polemista sul sospetto romanticismo del gangster al cinema. Solo che qui di romantico non c'è nulla. E' anzi tutto estremamente cinico, effervescente, per certi versi simpatico, per altri moderno, non per forza post, forse solo postumo se prendiamo il contenuto del dibattito che è poi (solo) un dibattito sul contenuto. Scorsese dal canto suo ha già vinto, per quanti premi non gli si riesca a dare. E' di lui che si parla. A 71 anni suonati e un ritiro all'orizzonte (“Un altro film e poi smetto”, parole sue), è l'unico lì in mezzo a sembrare ancora vivo.