"Chi ha combattuto meglio sul set? Dipende da chi aveva dormito meglio la notte prima...". I tempi di Rocky e Toro scatenato sono passati da un pezzo, ma Sylvester Stallone (classe 1946) e Robert De Niro (classe 1943) hanno deciso di infilarsi nuovamente i guantoni per Il grande match di Peter Segal, che Warner Bros. porterà nelle sale italiane dal 9 gennaio in 350 copie e che vede i due attori per la seconda volta insieme nello stesso film dopo Copland (1997). "La boxe al cinema è molto più di due persone che si prendono a pugni in faccia, è piuttosto la metafora della lotta quotidiana che conduce ogni uomo", dice Sly, trovando d'accordo anche De Niro: "I film sullo sport più popolari sono quelli sulla boxe perché quella sul ring è la battaglia che compi da quando nasci a quando muori". Ambientato a Pittsburgh, il film racconta la storia di Henry "Razor" Sharp e Billy "The Kid" McDonnen, due mediomassimi che all'inizio degli anni '80 si sfidarono due volte per il titolo, vincendo un incontro ciascuno. Alla vigilia del terzo e decisivo match, Razor annunciò a sorpresa il ritiro, senza fornire alcuna spiegazione, di fatto troncando in questo modo la carriera ad entrambi. Oggi, 30 anni dopo, il promoter Dante Slate Jr. (Kevin Hart) è deciso più che mai a farli tornare a combattere, spinto dalla possibilità di fare un mucchio di soldi: ma arrivare al match non sarà facile, vista l'antica ruggine che corre tra Razor e Kid, chiamati entrambi - seppure in modi diversi - a fare i conti con i fantasmi di un passato mai del tutto dimenticato.
"Invecchiando ti rendi conto che molte cose perdono d'importanza e che faresti meglio a prendere quello che viene con maggior leggerezza", spiega De Niro, che si dice "fortunato perché ancora oggi c'è un pubblico che ci segue, ho avuto tanto successo e gli unici rimpianti o rimorsi che ho fanno parte della mia sfera personale, privata, nulla che abbia voglia di raccontare in pubblico". Al centro del film, che il regista Peter Segal definisce "un buon mix tra commedia e dramma", il discorso sull'avanzare dell'età, che secondo Sylvester Stallone "può rappresentare un momento davvero frustrante per le persone, perché comincia a comprendere meglio alcune cose della vita e al contempo percepisci che la stessa sta volgendo al termine: come accade ai due personaggi del film, però, la vecchiaia può aiutare a sistemare alcune vicende rimaste in sospeso, a redimerti per alcuni errori commessi in passato".
67 anni Stallone, 70 De Niro, ma nessuna intenzione di dire "basta", né al cinema né al mondo del pugilato: "La serie di Rocky è terminata con il sesto capitolo (Rocky Balboa, 2006, ndr)" anche se a breve inizierò la lavorazione di Creed, diretto da Ryan Coogler, un film molto drammatico dove il personaggio di Rocky c'è ma non sarà protagonista", spiega l'attore. Prodotto dallo stesso Stallone, il film è incentrato sulla figura del nipote di Apollo Creed, storico rivale di Rocky nei primi due film della serie. De Niro invece vestirà i panni dello storico allenatore Ray Arcel, che negli anni '70 fu il coach di Roberto Duran, interpretato da Édgar Ramírez: è Hands of Stone, diretto da Jonathan Jakubowicz.