"Ero dentro e anche fuori. Incantato e respinto dall'inesauribile varietà della vita". Nick Carraway (Tobey Maguire), l'aspirante scrittore utilizzato da F. Scott Fitzgerald per "raccontarci" Il grande Gatsby diventa nelle mani di Baz Luhrmann l'occhio e la voce attraverso cui svelare, poco a poco, le sfuggenti e mutevoli verità di un uomo-personaggio-simbolo spartiacque nella storia della letteratura americana, e mondiale.
"Non si può ripetere il passato" - "Certo che si può": è in questo botta e risposta tra Nick e Gatsby (un ottimo Di Caprio) il senso esplicito dell'operazione Luhrmann, demiurgo di un cinema da sempre orientato a mescolare classico e moderno (Romeo + Juliet), mélo e barocchismi (Moulin Rouge). L'ambizione più estrema, dopo il fallimento Australia, rimaneva allora proprio questa: partire dalla pietra angolare della letteratura e dell'immaginario Usa dell'ultimo secolo e riscriverne la fruizione, mantenendo però pressoché inalterato il racconto. Ecco spiegato allora il 3D e un approccio estetico più vicino agli ultimi Harry Potter piuttosto che al rigore formale del precedente adattamento diretto da Jack Clayton nel '74, per non parlare dell'abituale lavoro sulla colonna sonora, concepita insieme a Jay Z per tradurre l'era jazz degli anni '20 nell'equivalente musicale dei nostri tempi e che ha visto coinvolti, tra gli altri, Lana Del Rey, Beyoncé, Florence + The Machine e Bryan Ferry: la "luce verde" del sogno di Gatsby, per Baz Luhrmann (anche produttore) è quella di poter parlare ad un pubblico insieme mainstream e hipster (aggiornando così il contrasto tra conformismo e anticonformismo presente anche nel romanzo di Fitzgerald), che possa alimentare nuovamente il mito di un'icona, Gatsby, sintesi del sogno americano e della sua distruzione. Capace di ricrearsi dal nulla e arricchirsi smisuratamente, anche in maniera illecita, ma incapace di salvaguardare se stesso dall'unica ossessione, Daisy (Carey Mulligan), che ne ha sempre ricambiato l'amore ma che non riesce, non può cancellare gli ultimi 5 anni. Quelli che Gatsby ha impiegato per costruire il regno dove potersi rinchiudere finalmente con lei, gli stessi che la donna ha trascorso al fianco del marito fedifrago, Tom (Joel Edgerton), e dal quale poco coraggiosamente riesce ad allontanarsi.
"Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato": Il grande Gatsby di Luhrmann, in fondo, è proprio questo, una riflessione sfarzosa - a tratti kitsch - sulla fragilità del desiderio e sull'impossibilità di ripetere il passato, pur rimanendone insabbiati. Cerebralmente convincente, emotivamente adolescente.