“Penso che una delle ispirazioni del film sia stato di sicuro il New Yorker. Lo leggo fin da quando ero piccolo. Mi ha sempre appassionato, volevo scoprire la realtà che stava dietro al periodico: la redazione, come venivano realizzati i pezzi, chi collaborava. Le persone dietro alle parole. La prima cosa che mi aveva attirato sono stati i racconti brevi all’inizio della rivista. All’epoca si faceva anche narrativa, ed è un po’ quello che ho fatto io. Nel film parlo di giornalismo, ma porto in scena storie immaginarie”, spiega il regista Wes Anderson a Milano, durante la presentazione di The French Dispatch. Il film era in concorso al Festival di Cannes, e uscirà nelle sale l’11 novembre distribuito da Walt Disney.

Siamo in Francia nella cittadina immaginaria di Ennui-sur-Blasè, dove anni prima Arthur Howitzer Jr. ha aperto la redazione dell’edizione europea del quotidiano The Evening Sun di Liberty, nel Kansas, ribattezzata The French Dispatch. I migliori giornalisti di ogni settore si alternano alla tastiera per raccontare la vita del paese. Quando Arthur muore improvvisamente per un attacco di cuore, le pubblicazioni vengono interrotte per sempre, come da lui stesso stabilito nel testamento, ma non prima dell’uscita di un ultimo numero commemorativo, in cui vengono raccolti i migliori pezzi usciti sul giornale nei decenni di attività. Tornano così tre storie che hanno fatto epoca: il rapimento di uno chef, un duplice omicidio per mano di un artista poi condannato all’ergastolo, i moti studenteschi del ’68. Così scopriamo qual è stata l’evoluzione del The French Dispatch negli anni.

“L’idea era di fare un film francese, e con alcuni attori avevo già lavorato in passato. Con lo scenografo ci siamo messi alla ricerca di una piccola città, non troppo affollata. Questa esperienza l’avevo già vissuta in passato. Mi trovo molto meglio in luoghi lontani dal caos. Abbiamo modificato degli scorci, costruendo anche alcuni set da zero. Ci sono state più di mille comparse, tutte persone che abitavano in quelle zone. Alla fine abbiamo organizzato una mega proiezione per tutti, riempiendo più sale”, aggiunge Anderson.

Poi riflette sul significato del film: “Spesso è stato definito una lettera d’amore al giornalismo. Non credo sia così, non volevo realizzare un omaggio. Ho un debito verso quegli uomini e quelle donne del New Yorker. Ho inserito i loro nomi alla fine, come in una nota a piè di pagina, citando la fonte. Per me il giornalismo è una tradizione a cui sono legato. Ogni giorno compro e leggo un quotidiano. Qui in realtà mi riferisco a qualcosa che sta scomparendo”.

Un tema di cui si parla molto sono le fake news: “C’è una lunga tradizione di direttori di testate che manipolano le notizie per vendere di più. Qui invece cerco di mettere in scena la necessità di scrivere nel modo giusto, seguendo la verità. È molto importante il gioco di squadra. Oggi sappiamo che le informazioni vengono presentate senza mediazione, e quindi si rischia spesso di sbagliare”.

In The French Dispatch c’è anche un po’ di Italia, oltre al brano della colonna sonora L’ultima volta di Ennio Morricone. “La mia vera ispirazione è stata L’oro di Napoli di De Sica. Quando lo vidi, anche io decisi che volevo fare qualcosa di simile, raccogliendo episodi diversi”. E sui progetti futuri: “Ho appena finito di girare in Spagna il mio nuovo film. Due settimane fa. È ambientato negli Stati Uniti, è stato divertente”.