“Dal Connecticut alla Brianza, una pazzia d'adattamento, ma con un cast di cui sono orgoglioso, fatto di fuoriclasse”. Parola di Paolo Virzì, che il 9 gennaio in 350-400 copie distribuite da 01 porta in sala il suo undicesimo lungometraggio, Il capitale umano, liberamente tratto dal romanzo omonimo dell'americano Stephen Amidon, scritto dallo stesso regista con Francesco Bruni e Francesco Piccolo, interpretato da Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Bentivoglio, Valeria Golino, Fabrizio Gifuni, Luigi Lo Cascio, Giovanni Anzaldo e gli esordienti Matilde Gioli e Guglielmo Pinelli.
Un misterioso incidente, l'ansia di ascesa sociale di un immobiliarista (Bentivoglio), l'oppressione di una ricca e  infelice (Bruni Tedeschi), l'avidità di un Gordon Gekko brianzolo (Gifuni), il desiderio d'amore di una ragazza (Gioli) e altri disastri umani: trama corale, scansione in capitoli, focus sui personaggi, splendore e miseria di una ricca provincia, ma – dice il regista – “non è una condanna moralistica dell'avidità e della ricchezza, non c'è enfasi apocalittica, ma un romanzo appassionante, thriller e galleria di personaggi, su un mondo di speranze facili, arricchimento attraverso il gioco della finanza, accanimento agonistico e competitivo sui più giovani”.
“Il tono – prosegue Virzì – è diverso dal solito, viene da un altrove, l'America di Amidon, ma anche di Tom Wolfe e Don DeLillo, e la Brianza, un posto ricco e spaventoso: per me che non sono mai andato più a nord di Pisa è esotica come il Connecticut. Ma tra i riferimenti metto anche Chabrol e lo humour degli ebrei americani”. Viceversa, rispedisce al mittente scomodi paragoni con Dino Risi: “Mai pensato di esserne l'erede, non vorrei che l'amico Marco (Risi, NdR) si sentisse minacciato”.
Venendo agli attori, Valeria Bruni Tedeschi si dice “contenta di non sapere chi sia Veronica Lario” e del suo personaggio, che “ho guardato con onestà e l'ho portato a me”, sottolinea “la grande solitudine, il coperchio che ha messo sui propri sogni: lo trovo commovente, insieme alla crudeltà che si ha quando ci sentiamo annegare. Infine, lo sguardo di Paolo mi ha fatto sentire bella”, mentre Valeria Golino evidenzia “la sfida di dare credibilità a una donna che ha un rapporto con un uomo così (il personaggio di Bentivoglio, NdR)”. Se “il romanzo racconta molto del passato dei personaggi, tanto che se ne potrebbe fare una serie HBO”, Virzì sostiene che “i nostri finanzieri pesanti  – gente come Ricucci o Coppola – mostrano una patina di grottesco da cui non riescono a liberarsi, a differenza di quelli anglosassoni che derivano dai puritani padri pellegrini”. Bruni parla del “mio lavoro di sceneggiatura più impegnativo e appassionante: il gioco a decomporre e ricomporre parti e personaggi: un lavoro narrativo anticonvenzionale”, viceversa, lo scrittore Amidon afferma: “Anche io per concepire una struttura come quella del Capitale umano mi sono rifatto al cinema e ironicamente qualcuno ce l'ha riportato. Io stesso ho impiegato 4 anni per scrivere il romanzo, avevo tentato anche di adattarlo per il cinema, ma poi ho rinunciato…”.Tornando agli interpreti, Bentivoglio dice che “il mio personaggio è un bell'uomo… Non ha letto Il capitale umano e dunque non sa di essere un mostro. Evidentemente se esiste un capitale umano ce n'è anche uno disumano. Il mio Dino pensa di fare sempre il bene delle persone che ama sinceramente: è un uomo fuori misura, ovvero smisuratamente normale”, mentre Gifuni parla del proprio quale “un personaggio livido, un vero mago della finanza tossica. Coglierlo come ha fatto Paolo, e prima di lui il romanzo, nel suo momento tragico è stato l'aspetto interessante”.
Infine, Virzì: “Un regista non deve mai dare il messaggio di un film. Anzi, non chiedeteglielo mai, altrimenti io e tutti i colleghi andremmo a fare il Papa: vorremmo che i temi dei nostri film emergessero da soli, senza bisogno di proclami”.