Una vita perfetta, una moglie adorabile, una carriera in ascesa: Matthew McConaughey aveva tutto, ma quattro anni fa non gli bastava e ha chiesto di più. Oggi si guarda indietro, felice di averlo ottenuto, come racconta nella Capitale durante la presentazione alla stampa di Dallas Buyers Club. La pellicola, in uscita il 30 gennaio in 150 sale della Penisola per Good Films dopo l'anteprima al Festival Internazionale del Film di Roma, ha ottenuto 6 nomination agli Oscar e gli ha regalato la prima candidatura agli Academy Awards come miglior attore nel ruolo del sieropositivo Ron Woodroof. Altre 5 se le è aggiudicate The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese, in cui interpreta in un cameo Mark Hanna, broker d'assalto e “mentore” di Leonardo Di Caprio.“Una mattina mi sono svegliato soddisfatto – parole sue – ma ho deciso ch'era tempo di darmi una mossa e ricalibrare il rapporto con il mio lavoro. Ho detto basta a ruoli che avrei potuto interpretare su due piedi anche il giorno dopo, cercavo copioni che richiedessero una ricerca e che mi facessero franare il terreno so tto i piedi. E siccome avevo un bel gruzzolo in banca, potevo permettermi il lusso di aspettare: dopo aver ricevuto le solite sceneggiature per pellicole romantiche e d'azione, per un anno non è arrivato più niente. Intanto è nato il mio primo figlio e ho approfittato del tempo libero per godermi questa straordinaria esperienza. Finalmente la situazione è cambiata con Killer Joe e Magic Mike di Steven Soderbergh”.L'interprete statunitense, attualmente impegnato nella serie TV firmata HBO True Detective, ha iniziato così la sua rinascita. Ha cambiato pelle: “Succede agli uomini di 40 anni che mettono su famiglia, maturano e trovano la propria identità. Io, più che un rebranding ho fatto quello che potrei chiamare“un-branding”, una ricostruzione dell'immagine da zero. Ho chiuso la mia casa di produzione e l'etichetta discografica e ho deciso di fare l'attore a ingaggio. In questo processo s'inserisce Dallas Buyers Club, un titolo “scomodo” fin dalla descrizione: pellicola “d'epoca”, dramma sull'HIV con un eroe omofobico. Lo script ha circolato per 20 anni collezionando 137 rifiuti e a 5 settimane dalle riprese il produttore si è tirato indietro. Alla fine lo abbiamo girato in 25 giorni con un budget di meno di cinque milioni di dollari, grazie alla nostra tenacia. Ho accettato di farlo prima ancora che ci fosse qualcun altro coinvolto nel progetto, non avevamo ancora neppure il regista”.Per la parte ha perso 23 chili in quattro mesi, ma a chi gli chiede se l'abbruttimento sia una corsia privilegiata per ottenere statuette e riconoscimenti vari risponde: “Quando mi sono visto nella prima scena ho pensato: “Cavoli, sembro un rettile”. Lo stesso shock lo prova il pubblico davanti alla locandina: inizialmente viene intrigato dalla trasformazione ma basta un attimo per capire che quello non sono più io, ma Ron: la sua storia è talmente vera che ti entra dentro con una forza incredibile. Certo, se poi arrivi a spingerti troppo oltre allora non lo fai più per l'arte o per il personaggio ma per il tuo ego”.Ad un mese dalla cerimonia al Kodak Theatre l'attesa resta comunque palpabile: “Non sono ansioso – ammette – ma mi sto godendo il momento, orgoglioso di tutte le nomination. Anche se per The Wolf of Wall Street ho girato solo cinque giorni, essere scelto espressamente da Martin Scorsese, che 20 anni prima ho studiato a scuola di cinema, è stato un momento incredibile della mia vita. Ieri, comunque, alla premiere di Roma ho incontrato Paolo Sorrentino: non ho visto La grande bellezza ma ho avuto la soddisfazione di dire – e a Hollywood non succede mai – “Ciao, ci vediamo agli Oscar”.