"Non ho mai studiato architettura, ma quando ho visto il museo Guggenheim di Bilbao ho provato una forte curiosità per il suo realizzatore: come può un uomo tanto piccolo progettare opere così monumentali?". Così il regista Sydney Pollack che esordisce al documentario con Frank Gehry creatore di sogni, in uscita nelle sale italiane il 30 marzo. Amico del celebre architetto, che con le sue forme "impossibili" ha rivoluzionato il panorama architettonico mondiale, per Pollack "è stato difficile entrare nella testa di qualcun altro per carpire la creatività e i suo meccanismi: che ti succede quando crei, quando ti svegli al mattino e non hai idee? Non lo capisco nemmeno per quanto riguarda la mia persona, ho cercato di sottrarre qualche idea a Gehry, ma è molto difficile". "Invidio molte persone - prosegue il regista - ma soprattutto gli scrittori: vorrei esserlo in un'altra vita. Sento per gli scrittori quello che Gehry dice nel film di provare per i pittori: il cinema e l'architettura sono arti collettive, mentre la scrittura e la pittura sono arti pure, individuali". In effetti, Frank Gehry creatore di sogni mostra molti punti di contatto tra il cinema e l'archiettura: "Sono mosaici, che assemblano discipline diverse", dice Pollack. E potrebbe rimanere un'esperienza isolata per il regista Usa: "Non ho passione per il documentario, questo l'ho fatto in modo egoista, spinto dalla voglia di conoscere Gehry. L'avrei fatto anche con Kieslowski e Kubrick, ormai è troppo tardi. Ma preferisco raccontare storie, costruire un altro mondo con personaggi da me inventati: è più eccitante". Con il partner Anthony Minghella, Pollack produrrà il nuovo film del regista de Il diavolo veste Prada David Frankel e quello dell'autore di The Hours Stephen Daldry, nonchè la trasposizione tv della serie The No. 1 Ladies' Detective Agency. Dietro la macchina da presa tornerà invece per dirigere un docu-drama targato HBO sul recount elettorale in Florida tra Bush e Gore. Pollack è in Italia per la retrospettiva completa dei suoi lavori per il cinema che, in collaborazione con il Museo del Cinema di Torino, gli dedica l'Alba International Film Festival, in programma dal 29 marzo al 4 aprile. "Nata nel 2002 come Infinity Festival dall'esigenza etica e politica di riflettere sulla condizione esistenziale dell'uomo attraverso i film - dice il direttore Luciano Barisone - la manifestazione non ha lo scopo di mettersi in mostra, ma alla prova, non di presentare solo film, ma di discuterci intorno". Da tradizione, il festival presentea due sezioni competitive: la selezione ufficiale dedicata alle opere di fiction, e Cinema: uno sguardo nuovo per i documentari narrativi. Dedicate entrambe a opere prime, seconde e terze di innovazione, la sezione fiction presenta, tra gli altri, El otro di Ariel Rotter, pluripremiato alla Berlinale; il malese Love Conquers All di Tan Chui Mui, che ha vinto a Rotterdam; i tedeschi Jagdhunde di Ann-Kristin Reyels e Nachmittag di Angela Schanelec e The Journals of Knud Rasmussen di Zacharias Kunuk; mentre tra i doc. spiccano The Monastery, vincitore all'IDFA di Amsterdam; Le Papier ne peut pas envelopper la braise di Rithy Pan sulla prostituzione giovanile in Cambogia, Santiago di Joao Moreira Salles e in anteprima mondiale La ferie di Licu dell'italiano Vittorio Moroni. Questi e altri titoli protranno poi trovare distribuzione in sala grazie all'accordo stretto tra il festival e il neonato circuito Microcinema. Tra le altre "chicche" di Alba, il convegno sulla paura organizzato in collaborazione con l'Ente dello Spettacolo, con ospiti quali don Luigi Ciotti, Davide Ferrario e Giacomo Marramao chiamati a interrogarsi sull'inquietudine e l'ansia della contemporaneità, nonchè gli omaggi alla filmaker austriaca Barbara Albert e all'indonesiano Garin Nugroho: "Entrambi sono cineasti produttori, attenti a tutte le fasi della filiera, e hanno una particolare attenzione per l'aspetto umano e per la situazione del proprio Paese, così come Sidney Pollack", conclude Barisone.