Domani conosceremo i vincitori del 50° Festival dei Popoli. Intanto altri titoli si aggiungono alla lista dei meritevoli. Mercoledi scorso é stato presentato in concorso Bassidij, ardimentoso progetto di Mehran Tamadon, iraniano trapiantato in Francia, che mostra un inedito confronto tra il regista e i dirigenti del gruppo dei difensori della Repubblica Islamica Iraniana. La schiettezza e la pacatezza apparente delle domande del regista spinge i rappresentanti piu ortodossi della causa integralista islamica a una rara e quasi ingenua esplicitezza, offrendo agli spettatori un prezioso strumento di riflessione e di conoscenza. Da segnalare poi il ritorno sugli schermi italiani di Nicola Philibert (al festival fiorentino anche due anni fa con Retour en Normandie), tra i piu rappresentativi esponenti del documentario d'oltralpe, noto alle cronache nostrane per aver diretto qualche anno fa Essere e avere. Nenette dovrebbe testimoniare l'amore del regista per la femmina d'oran gutan del titolo: vecchio e depresso, in compagnia di uno solo dei suoi quattro figli, l'animale trascorre i suoi giorni trascinandosi stancamente nella gabbia di plexiglass nella quale gli sguardi aggressivi (e nascosti dal dispositivo scelto da Philibert, che agli umani lascia solo lo spazio sonoro) dei visitatori lo confinano. Phlibert sbaglia l'impostazione del dispositivo del film e finisce per replicare e raddoppiare l'accanimento voyeuristico degli "umani disumani" che vorrebbe mettere all'indice. Questa sera verra proiettato Material, ultimo lavoro presentato alla scorsa Berlinale di Thomas Heise al quale il Festival dedica la prima retrospettiva italiana. La vastissima filmografia rappresenta un unicum per la raffinatezza e la ricchezza della documentazione e della messa in questione della DDR, la Repubblica Democratica Tedesca, sulla sua ideologia d'apparato, sulla macchina oppressiva che fu quella vasta enclave dell'Unione Sovietica dentro il cuore dell'Europa libera. Il lungo percorso composto dalla selezione dei film che va dai primi anni Ottanta fino al 2009 dimostra uno stile documentario preciso fondato su due poli: un'attitudine relazionale d'impostazione antropologica e una profonda capacità di lavorare coi materiali di repertorio e d'archivio (spesso realizzati dallo stesso Heise), riscrivendoli, ricomponendoli, rimodulandoli e rimescolandoli con i nuovi. Heise nasconde dietro un'apparente rigida freddezza un'inestinguibile necessita di capire, di conoscere per comprendere. Nel palinsesto degli ultimi giorni ancora Israele, Italia e Iran. Comunque vada, vincerà il cinema.