”Sono fiero di questa giuria, e sono sincero: non speravo di averli tutti e cinque, e chiedo loro scusa se non tutti i film del concorso saranno all'altezza loro aspettative”. Così il direttore del Festival Gianni Amelio apre la conferenza stampa di presentazione della giuria di Torino 28, presieduta da Marco Bellocchio e formata da Barbora Bobulova, Michel Ciment, Helmut Grasser e Joe R. Lansdale. “Non sono stato in molte altre giurie, ed è un'esperienza ricca, vitale. Ma quale presidente non ho un potere particolare, è una carica onoraria. Comunque, tutto positivo, tra colleghi cineasti e scrittori prestigiosi”, dice Bellocchio, mentre il romanziere Lansdale definisce questa sua “prima volta in giuria eccitante e stimolante: sono un grande appassionato di cinema”.
Viceversa, il critico francese Ciment ricorda come la rivista da lui diretta, la celebre Positif, “sia vicina al cinema italiano da più di 60 anni: ho sempre cercato scambi con registi italiani, e sono particolarmente felice per la retrospettiva di John Huston e perché Torino ospita il più bel museo del cinema al mondo”. Non solo, “è un concorso stimolante di opere prime, seconde e terze. 20 anni fa per Godard, Daney e la Sontag il cinema era morto: che dichiarazione ridicola, il cinema è vivo, e Torino lo dimostra”. “Stanco di leggere script, finalmente posso andare in sala”, aggiunge il produttore di Canicola Helmut Grasser, mentre la Bobulova definisce il suo “uno sguardo innocente, non inquinato dal cinema: è già tanto se l'anno scorso ho visto tre film, credevo di non farcela a vederne quattro al giorno qui, ma trovo siano tutte delle opere d'arte. In giuria porto la mia sensibilità femminile e di madre”.
Fin qui tutto bene, ma arriva una domanda legittima sulla scomparsa di Mario Monicelli e Amelio sbotta al giornalista: “Mario è nel mio cuore più di quanto lei possa credere: chiedo rispetto, un attimo di silenzio, non riduciamo tutto a una frase convenzionale”. Recuperata la calma, Amelio si scuserà a fine conferenza con il cronista, non prima di aver spiegato perché domani verrà proiettato (ore 17, Cinema Ambrosio) per il pubblico I compagni, diretto dal regista viareggino nel 1963 e incentrato sullo sciopero di un gruppo di operai di una fabbrica tessile nella Torino di fine Ottocento: “Uscì sotto le Feste, ma non era un film leggero e non sfondò al botteghino, nonostante si fosse corsi ai ripari incollando sui flani la fascetta “Sciopero coi baffoni”, per intendere che si rideva anche. Credo sia stato il dispiacere più grande della carriera di Mario, ma era il suo film del cuore: così legato a  Torino, proiettarlo è un dovere”.
”Non credo I compagni sia il suo film migliore: è un'opera troppo seria, ma lui - ribatte Bellocchio - non era fatto per i film impegnati. I suoi capolavori sono I soliti ignoti, L'armata Brancaleone, i primi lavori con Steno”.