“La Chiesa Cattolica? Gran parte di questa brutta storia la vede protagonista: molti bambini vennero inviati negli istituti religiosi in Australia, dove subirono violenze e abusi. La proiezione a Roma è una ghiotta opportunità: sarebbe fantastico se il Papa venisse alla proiezione, ma non tratterò il respiro aspettandolo…”.
Così Jim Loach, figlio di Ken, presenta in Concorso al festival di Roma il suo primo lungometraggio di finzione, Oranges and Sunshine, che attraverso la vera storia di Margaret Humphreys (Emily Watson), assistente sociale a Nottingham, indaga la deportazione di oltre 30mila bambini - “I bambini perduti dell'Impero”, indigenti, orfani o concepiti fuori dal matrimonio - dal Regno Unito in Australia, avvenuta tra 1930 e 1970.
Rispediti al mittente i parallelismi con l'opera del celebre papà: “Tutto ciò che siamo viene da padre e madre, ma non sono qui per confrontarmi con lui: non ho voluto né seguirlo né contrastarlo”, Jim Loach confessa comunque che Ken l'ha visto due volte e “non posso parlare per lui, ma credo gli sia paiciuto, soprattutto per il personaggio affascinante ed energico di Len (il bambino deportato interpretato adulto da David Wenham, NdR), che sembra l'antitesi stessa di un vittima. Chissà, abbiamo seguito le vostre ultime vicende, proprio un personaggio come Len potrebbe essere interessato al Bunga-Bunga…”.
Viceversa, la Watson descrive la sua Margaret - come il regista, ha incontrato più volte quella vera, che l'ha trovato “un film molto fedele” - “una donna al servizio degli altri: il film non è su di lei, bensì ne fa strumento per conoscere questo scandalo, questa vergogna. Per chi come me ha famiglia e bambini, ma non solo, è impossibile non farsi travolgere da questo film. “Oltre agli  abusi sessuali della Chiesa, il focus principale è sugli abusi del potere, delle istituzioni nei confronti dei bambini: la categoria più indifesa, fosse stata una minoranza etnica le cose sarebbero andate diversamente”, accusa l'attrice, che nega valore alle scuse sul tema: “Qui parliamo di una vergogna estrema ed eterna”. Perché le scuse, sia del governo australiano che quello britannico, sono arrivate rispettivamente solo nel novembre 2009 e gennaio 2010: “Scuse formali e solo verbali – puntualizza Loach – che hanno coinvolto sia i laburisti che i conservatori, d'altronde in quel lasso di tempo si erano succeduti al governo. Ma i politici dell'epoca hanno coperto le proprie tracce, mentre i sacerdoti cattolici per età o cattiva salute non sono stati processabili. Lo trovo scioccante”. Al contrario, il 41enne regista vorrebbe che per questo e latri casi di abuso su minori “la Chiesa garantisse libero accesso alle informazioni a quanti indagano, viceversa si tenta di insabbiare: ci sono ancora tante storie, tante realtà non emerse”.
Ritornando al cinema, Loach dice che “perché valga la pena raccontare una storia, non serve solo un contenuto drammatico, ma al centro deve esserci un messaggio, un problema, un dilemma: il cinema non è solo spettacolo e intrattenimento”.