Con La battaglia delle Cinque Armate, in sala dal 17 dicembre per Warner Bros in 2 e 3D e Imax, termina il viaggio di Peter Jackson nella Terra di Mezzo. Preparate i fazzoletti: l'ultimo atto della trilogia di Lo Hobbit, prequel del Signore degli Anelli, è una gita sfrenata sulle montagne russe in cui si trattiene il fiato, si sorride e si piange.
A dare il via il drago Smaug che vomita fuoco e fiamme sugli abitanti di Pontelago, distruggendo ogni forma animata. Uno scenario apocalittico che anticipa la titanica lotta tra bene e male, in cui uomini ed elfi, nani e orchi, si affrontano senza esclusione di colpi ed effetti speciali. “E' il più potente ed emozionante dei tre”, dice Peter Jackson, a Londra per l'anteprima mondiale, gremita di giornalisti e di fan in attesa spasmodica. Ancora una volta, il regista neozelandese ci porta indietro nel tempo, in un mondo antico e immaginifico, in cui ironia, fantasy e dramma convergono in una potentissima parabola contemporanea, girata con lo stordente realismo dei 48 fotogrammi al secondo‎.
Cast tecnico e artistico quasi al completo (tra gli altri: Ian McKellen, Martin Freeman, Luke Evans, Lee Pace, Orlando Bloom, Richard Armitage, Andy Serkis, Evangeline Lilly e la sceneggiatrice e coproduttrice Philippa Boyens), Jackson racconta: “La Battaglia delle Cinque Armate è il fulcro dell'intera leggenda. C'è tutto: suspense, tragedia, trionfo, cupidigia. Quando ho finito Il Signore degli anelli ero sicuro sarebbe stata un'esperienza irripetibile. Non pensavo che saremmo tornati nella Terra di Mezzo, eppure anche questa volta è stata incredibile. Spero che i miei lavori siano fonte di ispirazione per i giovani, come altri registi lo sono stati per me. Non dimenticherò mai la prima volta che ho visto King Kong. Il cinema è una grande sfida: un secolo fa i film erano muti e in bianco e nero. Oggi giriamo in 3D: quanti progressi sono stati fatti e se ne faranno. Si deve seguire la tecnologia per continuare a narrare”.

Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli non sono un franchise ma un classico che non invecchierà mai”. Parola di Ian McKellen, Gandalf il Grigio, stregone pacifista al contrario del Gandalf del Signore degli Anelli. “Io mi preferisco in questa versione -ammette -. Sono più umano, non ossessionato come Gandalf il Bianco dall'idea di dover salvare il mondo a tutti i costi. E anche se mi fossi stancato di lui, non avrei mai voluto cederlo a nessun altro! Perché questa è un'avventura, nel libro è narrata da Tolkien in prima persona, lui stesso fa commenti e battute sui personaggi. E Peter in fondo ha cercato questa leggerezza, è un progetto diverso da Il Signore degli Anelli”.

Saluteremo così una volta per tutte Gandalf e tutti gli altri personaggi creati dalla penna di J.R.R. Tolkien. E soprattutto Bilbo Baggins, interpretato magistralmente da un Martin Freeman capace di dipingerlo con tratti di grande umanità. “In questo lungo viaggio ho imparato tante cose, soprattutto a essere paziente”, scherza Freeman. “Ho avuto molto tempo per esercitarmi e far crescere il mio hobbit. Mi è stato affidato un compito difficile”. Perché la storia della trilogia e' a un punto cruciale: Thorin, Re dei nani (Richard Armitage) vuole recuperare il suo tesoro, che il Drago ha finalmente abbandonato. Oro a palate che sono diventati un'ossessione, mentre Sauron sta tentando di attaccare la Montagna Solitaria spedendo in massa orchi e altre tremende creature al suo servizio. Nani, elfi e umani devono decidere se unire le forze per sopravvivere o andare incontro alla distruzione. “E' una favola che parla di come piccoli uomini possono diventare eroi”, conclude Freeman. “Anche se Bilbo non ha molto in comune con i cliché hollywoodiani”.