Con due Oscar vinti nel giro di pochi anni, Nowhere in Africa e soprattutto Le vite degli altri, la Germania si è conquistata un posto al sole tra le cinematografie più vitali d'inizio millennio: stagione felice, "la migliore dai tempi del Junger Deutscher Film", spiega Giovanni Spagnoletti, direttore del Festival di Pesaro. Ecco spiegata la retrospettiva di quest'anno, sul Cinema Tedesco Contemporaneo, che indaga in diciotto titoli la Neue Welle di oggi. Inutile attendersi Goodbye Lenin! naturalmente: "L'ho visto proiettato persino nell'unico cinema di Sabaudia", si stupisce Olaf Möller, curatore - insieme allo stesso Spagnoletti - dell'evento, e del volume che l'accompagna (Oltre il muro, edito da Marsilio).
Alla Mostra, come sempre, si viene per imparare: e intanto si scopre che Monaco non è più (come ai tempi di Fassbinder) il centro del cinema tedesco. La Berliner Schule, con la sua ossessione per il realismo, ha spostato l'epicentro nella Capitale: i nomi di Angela Schanelec e Christian Petzold sono ben noti ai frequentatori di festival, e già due anni da Pesaro premiava Desiderio di Valeska Grisebach, altro nome di punta del gruppo, di cui quest'anno si è visto Mein Stern. Insieme ad Atome di Till Steinmetz, uno dei saggi di diploma in programma: non i cortometraggi che siamo abituati a veder uscire dal nostro Centro Sperimentale, ma film di un'ora (o poco più), quasi opere prime a tutti gli effetti. Le scuole sono molte, e decentrate, alcune antiche e blasonate (soprattutto Potsdam). Altre, le più recenti, tirano su le nuove leve del cinema commerciale: "Abbiamo più registi che film prodotti", appunta Olaf Möller a proposito degli oltre duecento diplomati usciti di recente dai corsi di tutto il Paese.
E alcuni sono a Pesaro: Mario Mentrup, che cita tra i suoi punti di riferimento Straub, Godard e Samuel Fuller ("Il padre del cinema americano") e ha diretto con Volker Sattel Stadt des Lichts, un immaginifico road movie di fantascienza; e poi Martin Gypkens, che col suo Nichts als Gespenster concorre stasera al Premio del pubblico. Cinque donne, e cinque location (anche Venezia), per un film che si ispira ad Altman, ma anche a Cechov, per la coralità dell'intreccio, e ad Antonioni per la scelta delle inquadrature". All'insegna di due temi, il viaggio e il ritratto femminile, che si stanno imponendo come leit motiv di tutta la retrospettiva.