Dopo aver raccontato una storia sulla memoria, i ricordi e la vecchiaia con l'opera prima I nostri anni, Daniele Gaglianone torna al cinema con un film di denuncia che parla di adolescenti. Nemmeno il destino (questo il titolo del film) s'ispira all'omonimo romanzo di Gianfranco Bettin ed esce nelle sale italiane il 5 novembre distribuito dalla Fandango di Domenico Procacci, che ne è anche produttore. Presentato con successo alla 61ª Mostra del Cinema di Venezia nell'ambito delle "Giornate degli Autori", il film racconta la storia di Alessandro, Ferdi e Toni, tre giovani amici (interpretati dagli esordienti Maurizio Cordella, Fabrizio Nicastro e Giuseppe Sanna) cresciuti nella periferia degradata di Torino, in famiglie sfasciate dall'alcolismo, dalla pazzia e dalla precarietà, che a loro modo tentano di trovare una via di fuga: Toni sparisce nel nulla, Ferdi si suicida in modo spettacolare gettandosi con il motorino dall'ultimo piano di un palazzo in costruzione, mentre Alessandro è l'unico che, dopo aver provato anche il riformatorio, riesce a trovare una speranza per il futuro. "Ho cercato di raccontare questa storia sfuggendo a qualsiasi tipo si stereotipo - dice Gaglianone -. Volevo che a parlarci di questi ragazzi fossero i loro sentimenti e il loro modo di essere. L'adolescenza - continua il regista - è un periodo estremo della vita, in cui si decidono molte cose d'istinto, in maniera viscerale. Questo film vuole essere una riflessione sul disorientamento che sento sempre più presente intorno a me e che ho percepito molto forte nella realtà della periferia torinese dove sono cresciuto. In questi ambienti si cresce precocemente, spesso non si hanno gli strumenti per poter sostenere l'impatto ed è sempre più difficile trovare una bussola che ci indichi la direzione giusta". Un problema che secondo Gaglianone non è soltanto dei giovani: gli adulti stessi ne sono vittime e sempre meno riescono a costituire un punto di riferimento per i giovani ecco allora che "diventano colpevoli nel momento in cui agli occhi dei ragazzi rappresentano degli esempi da seguire". Ma in Nemmeno il destino non c'è nessun tentativo di "generalizzare", chiarisce il regista: "Parlo di orfani, di gente che si sente sradicata e che non riesce a legare i propri figli a delle radici, perché per primi non sentono alcuna vicinanza con il posto in cui vivono e nel quale sono arrivati, magari in cerca di un lavoro, portandosi dietro una cultura ormai inutile". Il film si conclude  tuttavia con un messaggio di speranza: "Alessandro alla fine riesce a riscattarsi e con la sua esperienza ci dice che la vita con tutti i suoi conflitti va vissuta e combattuta fino in fondo".