Il film scandalo dell'ultimo Festival di Roma - dove ha vinto il Marco Aurelio d'Oro - rischia di diventare anche il più esclusivo dell'estate. Per pochi, anzi pochissimi. Brotherhood uscirà in appena 20 sale il prossimo 2 luglio (distribuito da Lucky Red) anche se solo sfiorato dalla tagliola della censura, che lo ha giudicato "vietato ai minori di 14 anni". Se consideriamo poi che di norma il pubblico italiano in estate preferisce fare altro piuttosto che andare al cinema, allora l'opera prima di Nicolo Donato rischia di scomparire prima ancora di arrivare. Sarebbe un peccato, vista la mole di spunti, provocazioni e implicazioni proposti dal film.
Il protagonista è una giovane promessa dell'esercito danese, Lars (Thurs Lindhardt), che, coinvolto in un caso di molestie (omo)sessuali, è costretto a ritirare la sua candidatura a sergente delle Forze Armate. Arrabbiato, deluso e in piena crisi occupazionale torna in famiglia, dove lo attende una madre impicciona che vorrebbe realizzargli sogni non suoi e un padre di puro arredo, bravo solo ad annuire e a trangugiare cibi e lagne. Non passerà molto prima che Lars decida di lasciare anche il nido per unirsi a un gruppo di giovani naziskin dediti al pestaggio programmatico - gay e immigrati i bersagli prediletti - e a disinvolte letture (il Mein Kampf di Adolf Hitler). Ma anche questa nuova famiglia si rivelerà una gabbia non appena Lars comincerà a flirtare con un camerata, Jimmy, dando inizio a una relazione "politicamente" scomoda: "In realtà - racconta il regista italo-danese in conferenza stampa a Roma - Brotherhood - Fratellanza non è né un gay movie né un nazi movie. E' vero che la prima idea mi è venuta vedendo il documentario Men, Heroes, Gay Nazis: il contesto neonazista mi è sembrato subito ideale come ambientazione per la mia storia. Ma attenzione: non è né American History XI Segreti di Brokeback Mountain. E' una storia di amore estrema, nei presupposti e nelle conseguenze".
Sarà, eppure il titolo sembra calamitare direttamente l'attenzione sul milieu socio-politico del film, in un momento in cui la destra xenofoba guadagna voti e consenso in uno dei tradizionali fortini della socialdemocrazia: "E' vero, nel mio Paese le politiche sull'immigrazione sono diventate molto restrittive, ma non c'è alcuna possibilità che queste frange estreme arrivino al governo. Non nego che vi siano diversi simpatizzanti, ma non ne conosco il numero nè il profilo anagrafico". Eppure la descrizione di certi ambienti non è avara di dettagli, rivelando una conoscenza approfondita del fenomeno, delle sue dinamiche, delle psicologie coinvolte: "Mi sono avvalso della collaborazione di un mio amico che, in gioventù, è stato parte del movimento neonazista e, prima di dissociarsene, ha scontato 5 condanne in carcere. Non ho potuto citare il suo nome nei credits del film, gli ho dovuto garantire l'anonimato per proteggerlo da eventuali ritorsioni, ma la sua esperienza è stata fondamentale perché mi ha insegnato che tutti possiamo cambiare. Se fosse ancora un nazista o un razzista non potrebbe essere mio amico". L'idea della storia omosessuale in un contesto estremo non è solo una variazione sul tema "amori impossibili": "Durante il Terzo Reich, Hitler aveva molte persone intorno ed è molto probabile che alcuni di loro fossero omosessuali. Addirittura alcune fonti dicono che 16 tra i 40 gerarchi più potenti lo fossero. Certo, non c'è modo di verificarlo, come non c'è modo di verificare le voci sulla presunta omosessualità del Führer. Di sicuro sappiamo che era un pazzo assassino e che, fin da bambino, crebbe in mezzo alla violenza. E la violenza ti fa diventare violento anche nei confronti dei tuoi amici, come l'omosessuale accertato Ernst Röhm delle SA". Donato nega di avere avuto minacce durante la lavorazione anche se "all'inizio delle riprese abbiamo avvertito una certa tensione: la prima scena è stata girata nei pressi di una torre che è un luogo di ritrovo abituale di gruppuscoli neonazisti. Abbiamo dovuto ingaggiare delle guardie che tenessero d'occhio la situazione ma, ciononostante, non posso dire che fossi tranquillo. Fortunatamente il resto delle riprese si è svolto senza problemi. Oggi, se dovessi mandare un messaggio a queste persone, direi loro di venire a vedere il film. Gli darebbe molto da riflettere sul tema del rispetto nei confronti degli altri. E, in generale, è proprio questo il mio auspicio: che il film faccia riflettere sul tema del rispetto e dell'umanità”. Il regista si spinge oltre, vestendo i panni del guru: "Capisco che con la crisi in corso la preoccupazione di tutti è l'economia. Ma se si parlasse d'amore ogni tanto, non farebbe male". Insomma "all you need is love", lo dice e lo ripete come un mantra Donato, mentre assapora già tutto l'amore del suo prossimo lavoro ("un film sulla depressione che è anche una bella love story, August") e ricorda quello per la musica: "Non ho manie di protagonismo e non volevo essere anche l'interprete del tema d'apertura ma, quando siamo andati in studio ad inciderlo, i produttori hanno insistito perché lo facessi. E l'ho fatto, sapendo bene che una bella colonna sonora non appartiene all'autore ma, decisamente, al film".Brotherhood domani sera sarà proiettato all'Auditorium Parco della Musica di Roma in presenza del regista.