Ha attraversato cinquant’anni di storia del cinema, raccontando i cambiamenti dell’Europa e affrontando le grandi questioni su cui l’uomo si interroga da sempre: Krzysztof Zanussi è il grande protagonista della seconda giornata del Lecco Film Fest, il festival organizzato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo e promosso da Confindustria Lecco e Sondrio.

E arriva al Nuovo Cinema Aquilone per presentare al pubblico Corpo estraneo, il film che ha scritto e diretto nel 2014. “Più che un bilancio della mia opera – spiega il regista in un italiano sorprendente e dal lessico ricercato – è una denuncia contro il lato oscuro del progresso. Mentre contribuiscono al miglioramento della vita quotidiana, le multinazionali diffondono menzogne, violenze, pressioni, sfruttamenti. Mi lusinga aver dato fastidi a certi dirigenti che sono stati ostili con il mio film”.

Affabulatore ipnotico, Zanussi – intervistato da Gianluca Arnone, coordinatore editoriale della Fondazione Ente dello Spettacolo – dice con una certa ironia di aver superato sorprendentemente gli 80 anni: “Ho avuto una vita avventurosa. Sono di origini friulane, i miei avi arrivarono in Polonia per costruire ferrovie. Mio padre aveva un temperamento mediterraneo, vulcanico: da lui, che si esprimeva liberamente in un mondo in cui ciò era vietato, ho imparato che è meglio tacere e che non si deve mai urlare”.

Al cinema, il giovane Zanussi ci arrivò dopo vari percorsi: “Alla mia generazione, la guerra ha rubato l’infanzia. Cercavo certezze in un mondo dominato dal regime comunista. Mi iscrissi alla facoltà di Fisica, fu un periodo bellissimo ma ero uno studente mediocre, la cosa peggiore al mondo. Allora ho studiato filosofia perché mi interessava studiare lo strumento della propaganda. Come molti studenti facevo molte cose senza capire bene cosa volessi, facevo cinema da dilettante e ottenevo molti premi. Quindi sono entrato in una scuola di cinema con grandi aspettative”.

E poi cosa accadde? “Andai in Francia, era l’alba della Nouvelle vague: capì che si potevano girare i film in modo diverso. Ma, quando tornai a scuola e feci mia quella lezione, i miei professori, che non avevano viaggiato, mi diedero del dilettante. E mi cacciarono via”.

Qualche ostilità anche in famiglia: “Pochi padri sono contenti se i figli diventano registi, compreso il mio. Voleva che continuassi le tradizioni di famiglia. Fino alla morte ha tollerato, ma era convinto che non si potesse costruire niente in celluloide. Mia madre era più indulgente”. Eppure Zanussi è diventato un caposcuola della cosiddetta “terza generazione” di cineasti polacchi, amico di maestri connazionali come Andrzej Wajda, Krzysztof Kieślowski (“Una persona di famiglia, sin dai tempi della scuola. La sua perdita mi pesa ancora”), Agnieszka Holland (“Donna vulcanica, fu mia collaboratrice”).

Il debutto nel 1969 con La struttura di cristallo (“Volevo usare con linguaggio diverso, esplorare cose non ancora esposte”) e, dopo film come La spirale (“In un paese comunista sono riuscito a parlare della morte con una prospettiva cristiana”), il grande successo internazionale con Da un paese lontano, biopic del 1981 su Karol Wojtyła (“Non potevo drammatizzare o giudicare la vita di Papa Giovanni Paolo II. Diego Fabbri mi consigliò di fare un film utile più che uno bello. Ne feci uno illustrativo, supervisionato da Vaticano, con le comparse scelte tra i parrocchiani di Roma. Le riprese furono davvero movimentate: l’attore che interpretava Pio XII perse il naso finto, le guardie svizzere erano in libertà sul sagrato…”).

Krzysztof Zanussi (foto di Stefano Micozzi)

Il film ebbe ottimi riscontri negli Stati Uniti e Zanussi provò l’avventura oltreoceano: “Non faceva per me. Là si deve essere sempre dalla parte del grande pubblico, io ne voglio servire uno più sofisticato. Bertolucci e altri registi europei erano ipnotizzati dalla cultura americana, noi polacchi non ne avemmo accesso fino all’età del disgelo. Ci sembrava più attraente la cultura europea. La mia generazione non ha mai capito perché quelli della Nouvelle vague consideravano Hitchcock un regista più bravo di René Clément, uno che faceva film più intelligenti”.

Nel 1983 vinse il Leone d’Argento alla Mostra di Venezia con L’imperativo: “Un film complesso, religioso. Conobbi Robert Powell, il Gesù di Zeffirelli, in un festival in India, gli raccontai la storia e accettò di fare film con un salario minimo. Quando andammo alla Biennale, Vittorio Gassman mi disse che avevo costruito un personaggio su misura per Powell. Allora gli proposi di attagliarne uno anche per lui: dopo varie traversie riuscimmo a mettere su Il potere del male, lui girò le sue scene in cinque giorni. Lavorammo venti ore al giorno, contro tutte le regole sindacali”.

Da sempre vocato a temi come di grande spessore intellettuale, densi di contenuti etici e fortemente spirituale, Zanussi appare molto preoccupato sull’attuale situazione in Europa: «Non è sorprendente ciò che sta facendo Putin: il suo obiettivo è tornare al regime sovietico, a occupare i territori oggi indipendenti, togliere la libertà a paesi che hanno scelto la strada occidentale. La diplomazia è un’illusione: dobbiamo tornare alle guerre giuste di cui parlava Sant’Agostino, perché quella dell’Ucraina è una battaglia per la sua sopravvivenza come civiltà».

Pessimista? «Non so bene come la società potrà digerire la pandemia e la guerra. Nella nostra cultura, non parliamo mai della morte. Ora siamo costretti a confrontarci con lei. Non mi ritengo una Cassandra ma sono convinto che la terza guerra mondiale sia già cominciata. Tra poco sarà tutto diverso, non dobbiamo cadere nel panico ma ripensare ai nostri valori ed essere pronti a sacrificare qualcosa del nostro benessere e delle nostre comodità. Ma vedo un risveglio dell’idealismo: in Polonia abbiamo 4 milioni di rifugiati ucraini, è qualcosa di incredibile anche perché i nostri rapporti con l’Ucraina non sono mai stati idilliaci. Qualche mese mi sarei detto pessimista, oggi questa cosa mi dà speranza».

Gianluca Arnone e Krzysztof Zanussi (foto di Stefano Micozzi)

Una carriera lunghissima, suggellata dal Premio Robert Bresson che l’Ente dello Spettacolo e la Rivista del Cinematografo gli conferirono nel 2003. E che continua: nel suo prossimo film, Il numero perfetto, torneranno le due ossessioni di Zanussi, la fisica e la metafisica. “Il protagonista scopre che si può non essere schiavi del consumismo della pubblicità che crea necessità inventate: meglio avere meno e stare meglio”.

E Zanussi non si tira indietro di fronte alla domanda delle domande: Dio esiste? «Lo spero, ma non do garanzie. La scienza non deve provarne l’esistenza: non la nega e questo mi basta. Credo più nel mistero che nella fede. È il primo passo. Penso che se l’universo è caotico, vuol dire che nessuno lo gestisce: c’è un essere più grande che controlla e garantisce che tutto abbia un senso, che il suo piano resti impenetrabile. Perciò sono convinto che esista».