Il cinema non è una sirena, capace di ammaliare sempre e comunque. Spetta al pubblico decidere se lasciarsi trascinare nella storia e vivere tra i personaggi, mettendo in atto la cosiddetta “sospensione dell'incredulità” o Suspension of Disbelief, titolo del thriller presentato nella sezione CineMaxxi del Festival Internazionale del Cinema di Roma dallo stesso regista, l'inglese Mike Figgis.
In questa pellicola lo spettatore non sa esattamente cosa stia guardando, o meglio non riesce a distinguere tra finzione e realtà e tra vero e falso perché nulla è come sembra in un continuo gioco di specchi che va ben oltre il meta racconto. Martin, il protagonista, vanta infatti una brillante carriera come sceneggiatore, insegnante e scrittore ma ad un certo punto i racconti, le lezioni e i copioni s'intrecciano alla sua vita senza possibilità di separarsene. Quindici anni prima, infatti, sua moglie, attrice di talento, è scomparsa nel nulla portandosi dietro interrogativi e dubbi. Gli stessi che tornano ad animarsi quando Angelique, una ragazza sensuale e provocante appena conosciuta alla festa di compleanno della figlia, viene ritrovata morta annegata proprio la mattina dopo. A complicare la situazione ci pensa la gemella, Therese, che compare dal nulla e possiede le stesse doti ammaliatrici della sorella.
“Il tentativo - spiega Mike Figgis - è quello di allontanarmi dai canoni tradizionali che basano i film su ‘regole d'oro': è ora di rinegoziare questo contratto con il pubblico e di smetterla di concentrarsi sui cinque minuti conclusivi di un lavoro. Io non ho pensato affatto alla conclusione: ho iniziato un dialogo con me stesso sul processo creativo e mi ci son volute 32 versioni diverse della sceneggiatura per arrivare a quella definitiva”.
Difficile, insomma, incasellare un lavoro come il suo: “Una cosa l'ho capita con certezza – prosegue il regista – tutti i film, a prescindere dal genere, possono essere considerati nella categoria fantascienza e commedia. Anzi mi fa molto arrabbiare che il cinema pretenda di prendersi troppo sul serio nel tentativo disperato di sembrare vero. È impossibile: resta, per definizione, una finzione”.
Il risultato in Suspension of Disbelief, un continuo work in progress con molteplici interpretazioni, richiama le influenze del passato: “Ho iniziato la mia vita adulta - continua Figgis - come musicista jazz e rock, ho studiato musica classica e composizione e sono certo che la prima disciplina artistica che impari poi continua a condizionare i tuoi lavori successivi. Nei miei film emerge sempre infatti un'attenzione al ritmo e all'armonia”.
Influenzato dai grandi (Federico Fellini, Francis Ford Coppola e Ingmar Bergman in primis), per sua stessa ammissione, e non solo da David Lynch a cui la critica lo accosta spesso, Figgis affida il proprio lavoro alla speranza che arrivi “una nuova generazione di produttori e distributori per sfuggire alla nozione capitalista del film fondata sull'idea di voler conquistare il mondo. A me quest'obiettivo non interessa, soprattutto considerando che alcuni successi, come i franchise di Batman e James Bond, hanno il risultato assicurato al botteghino grazie all'investimento finanziario. È ovvio che siano ben realizzati, attirino interesse di pubblico e critica: è il frutto di soldi ben spesi in pubblicità e marketing”.
Il potere della seduzione in Suspension of Disbelief, invece, sfugge a quest'ottica: travalica ogni confine, diventa delirio e confonde desideri e incubi mescolando luci e ombre con straordinaria maestria. D'altronde, come dice Martin, “la vita non ha un lieto fine, ma solo un lieto intermezzo”.