Anche il mercato della nostra fiction ha subito i colpi della crisi, nonostante sia un dei più fiorenti nel campo dell'audiovisivo, ma sembra ancora pronto a ripartire sfruttando le occasioni offerte dal digitale terrestre e affrontando la grande sfida dell'esportazione all'estero. Questo è quanto emerge  dal secondo rapporto stilato sul tema dall'Istituto di Economia dei Media (IEM) della Fondazione Rosselli, presentato ieri a Roma dall'Associazione Produttori Televisivi (APT) e dalla Fondazione Rossellini per l'Audiovisivo, nata da poco su iniziativa della Regione Lazio.
Un documento, questo Rapporto sul mercato della fiction italiana nel contesto internazionale curato da Flavia Barca e Andrea Marzulli, che intende proporsi non solo come approfondito strumento conoscitivo riguardo ai macrofenomeni e alle principali tendenze del settore, ma anche segnalare i punti crucciali su cui si gioca lo sviluppo di un prodotto televisivo così determinante da aver ottenuto, nel 2008, più di 12mila ore di programmazione sulle sette principali emittenti generaliste.
A risentire  della congiuntura negativa è stata soprattutto la fiction italiana, che ha visto ridursi a 750 ore il suo tempo sullo schermo (meno 100, rispetto al 2007) e il numero delle società produttrici passare da 46 a 36 nel periodo 2006-2008, anche per effetto di una sempre maggiore integrazione orizzontale e verticale delle aziende. A spingere verso il basso il dato relativo alla programmazione, sono soprattutto le reti private come Canale 5, che hanno diminuito sia il numero di fornitori, sia la quantità di fiction all'interno del palinsesto.
Questo genere continua comunque a produrre da solo un fatturato che nel 2007 si aggirava intorno ai 520 milioni di euro, con un'incidenza di primo piano  rispetto all'intero indotto generato dall'industria dell'audiovisivo. A preoccupare, dunque, è soprattutto il deficit nel settore export, che porta l'Italia a essere tra i primi consumatori e importatori di fiction a livello europeo, senza che ciò sia compensato dalle vendite sul mercato internazionale, dove i nostri prodotti trovano spazio soprattutto nell'Est del Continente.
Un ritardo dovuto soprattutto alle caratteristiche interne del nostro mercato: “dato che l'offerta è rivolta solo al pubblico del prime time delle grandi reti, risulta poco differenziata e, quindi, meno esportabile”, ha spiegato uno dei coautori del libro, Bruno Zambardino. Gli esperti internazionali, inoltre, attribuiscono il divario “al rapporto tra i broadcasters e le produzioni”  - come ha riportato Flavia Barca - anche se la situazione sembra sull'orlo di un cambiamento radicale.
“Quest'anno c'è una grande novità - ha ricordato a tal proposito il Presidente dall' APT  Fabiano Fabiani -  cioè la tanto attesa delibera dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni che riconosce i diritti dei produttori riguardo all'utilizzo dei contenuti al di fuori dei termini contrattuali, e che impone alle emittenti specifici codici di condotta”. C'è però ancora da chiarire “la questione dei diritti maturati prima della delibera”, che secondo Fabiani non possono essere considerati propiamente “retroattivi”.
Intanto, la fiction italiana sembra aver cercato da sola strade alternative per far fronte alle carenze e ai ritardi normativi. “Il digitale è un'opportunità per l'allargamento del mercato e la diversificazione dei contenuti” - ha sottolineato la curatrice del rapporto, mettendo in luce anche il forte aumento del ricorso  del product placement e al sostegno delle Regioni, nonché ad altre forme di finanziamento che rendono i budget delle produzioni molto più compositi.