Giovani ribelli sanza causa o scaltre e consapevoli attiviste? Ukraine Is Not a Brothel (L'Ucraina non è un bordello), il bel documentario di Kitty Green, presentato fuori concorso alla Mostra, non dice l'ultima parola. Rivela però molte cose in merito al movimento femenista che si è imposto all'attenzione internazionale grazie alle proteste in topless delle sue avvenenti affiliate. Abbiamo imparato a conoscerle anche in Italia dove, prima di Venezia, si erano messe in luce due volte: a febbraio per protestare contro Berlusconi, intento a votare nel proprio seggio alle ultime elezioni politiche; a marzo, a Roma, Piazza San Pietro, nei giorni del conclave.
Nato nel 2008 in Ucraina, il movimento ha conosciuto diverse evoluzioni. Da organizzazione caritatevole ben inserita nel tessuto sociale a versione aggiornata del femminismo ai tempi di youtube, fino alla struttura capillare di oggi, con una sede centrale a Parigi e varie ramificazioni locali, perchè, come ci dicono Inna e Sasha Shevchenko, le due leader del movimento (ma non amano questa definizione), "la questione patriarcale non riguarda solo l'Ucraina, ma è presente in tutte le società: quando ad esempio siamo venute in italia per protestare contro Berlusconi, la vostra polizia non ci ha trattato meno brutalmente di quella russa".
Kitty Green, che prima di conoscere le femen, lavorava all'ABC (Australian Broadcasting Corporation), ha deciso di partire alla volta di Kiev non appena letto su un giornale le gesta di queste donne: "Ero affascinata dalla loro lotta e volevo documentarla. Quando sono arrivata lì e le ho conosciute però, mi sono accorta che la realtà era un po' diversa da quella che avevo immaginato: a un certo punto mi sono chiesta se fossi l'unica vera femminista lì in mezzo".
Per capire quali fossero le perplessità della Green dobbiamo fare un passo indietro. Quando il movimento delle Femen è nato, alla sua testa c'era Viktor Svyatskly, un uomo. E' stato lui a reclutare le ragazze e a infarinarle sui principi base del femminismo: "Ci ha dato dei buoni consigli, ma ha fatto anche del male al movimento", rivela Sasha. Il punto è che a parole Victor era un progressista in contrapposizione con la società patriarcale, nei fatti l'alimentava: "Ordinava, urlava, ci trattava male: era l'emblema della società patriarcale", dice Inna. Il giudizio della regista sull'ex ideatore e promotore del movimento nè, se si può, ancora più impietoso: "Era dannoso". Non a caso Victor esce assai male dal documentario: a lui viene dedicata la parte finale di Ukraine Is Not Brothel e non ne fa una gran figura. Nell'intervista concessa alla Green si presenta come un ideologo assai confuso, disposto ad ammettere il paradosso di un "patriarca alla guida di un movimento anti-patriarcale" e di aver reclutato le ragazze a ragione della loro avvenenza fisica. Senza contare i soldi e la pubblicità che Svyatskly ci ha guadagnato. Oggi è fuori da tutto: "Alla fine del 2012 abbiamo preso la grande decisione di estrometterlo - racconta Inna -. Ora ci sentiamo molto più forti e il documentario di Kitty è stato utile per fare chiarezza".
In effetti, se va riconosciuto a Svyatskly il merito di avere dato a queste ragazze una ragione di lotta e di averle allontanate dalla strada, senza di lui il movimento ci ha guadagnato in credibilità.
Restano ancora vaghe le forme di finanziamento delle Femen (nel doc si fa menzione solo delle donazioni dei privati, ma tra questi ci viene presentato anche un imprenditore turco che lavora nel mercato della lingerie femminile: sic!), così come incerti appaiono gli obiettivi finali: "Abbiamo tirato una riga tra presente e passato. Il futuro nessuna di noi lo conosce - confessa Inna -. Continueremo a lottare ma non sappiamo ancora in quali forme e con quali strategie". Beata ignoranza.
Più chiara l'analisi sul perché le loro forme di protesta abbiano avuto tanto clamore: "Abbiamo smascherato la cultura patriarcale - dice Sasha -. I governi hanno paura della nostra nudità perchè sfugge al loro controllo. Vogliono controllare il modo in cui noi donne usiamo il nostro corpo e hanno una fifa tremenda quando agiamo al di fuori del loro potere. Non saprei spiegarmi diversamente il modo in cui ci trattano, ci picchiano e ci arrestano: formalmente non abbiamo mai infranto la legge".
Sbaglierebbe chi pensasse che le femen sono frutto di chissà quali violenze: "Non siamo vittime, non siamo state picchiate né dai nostri padri né dai nostri fidanzati. Abbiamo alcune idee in merito al ruolo delle donne nella società e vorremmo condividerle con quanta pià gente possibile". Come? Nessuna di loro ancora lo sa. E' probabile che il movimento, ormai sotto i riflettori del pianeta, subisca in futuro una nuova evoluzione. Senza obiettivi precisi, strategie definite e coperture trasparenti, difficile possa fare troppa strada o affrancarsi da un situazionismo a uso e consumo dei (social) media.
Le ragazze dal canto loro non hanno al momento troppa voglia di pensarci. Hanno già fatto un bel pezzo di strada e vogliono rifiatare. Per trasformare il mondo c'è tempo. Possono dire intanto di aver cambiato se stesse.