(Cinematografo.it/Adnkronos) - L’Esercito più Piccolo del Mondo, presentato oggi fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia e dedicato al racconto di cosa voglia dire nel 2015 essere Guardie Svizzere, "è un documentario su commissione ma senza censure". Lo sottolinea con orgoglio il regista Gianfranco Pannone, spiegando: "La regia di questo documentario mi è stata offerta da don Dario Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano che nel frattempo è diventato una sorta di ministro delle Comunicazioni dello Stato Pontificio. L’intento era proprio quello di raccontare la Guardia Svizzera al tempo di Papa Francesco ma con uno sguardo d’autore e ad altezza d’uomo, com’è nelle corde di questo papato".

Così il documentario che dura 86 minuti e avrà probabilmente prima una breve distribuzione cinematografica ("c’è in corso una trattativa importante", sottolinea il regista) e poi televisiva in diversi paesi, racconta il percorso di addestramento di 12 reclute fino al giuramento. Ogni sei mesi, infatti, tante ne partono dalla Svizzera alla volta del Vaticano per un servizio che durerà due anni nel 99% dei casi e che solo in pochi casi si trasformerà in una carriera militare che andrà avanti fino al comando. "La partenza riguarda naturalmente solo ragazzi di provata fede cattolica e che abbiano superato alcuni test fisici e psicoattitudinali", sottolinea il regista.

Pannone segue in particolare il percorso di due reclute molto diverse tra loro: René, studente di teologia dell’Argovia, che ha deciso di fare l’esperienza di entrare a far parte del corpo Pontificio fondato da Papa Giulio II nel 1506, e Leo, che nella vita fa il guardaboschi ed è eccitato all’idea di passare un periodo nella Città Eterna. Ed è proprio René che Pannone cita a dimostrazione che il suo lavoro è stato improntato all’assoluta libertà. "Il ragazzo ci ha messo a disposizione il suo diario ed ha attraversato un momento di crisi. Arrivato in Vaticano ad ottobre, verso Natale ha cominciato ad interrogarsi sull’anacronismo del ruolo affidato ad un corpo che ha sostanzialmente il compito di presidiare gli accessi ed alcuni punti chiave del Vaticano ed indossa delle variopinte divise del ’500, accuratamente cucite da un’apposita sartoria in Vaticano, e sovrastate da armature che vengono adattate su misura ai ragazzi da due fabbri che vengono appositamente dalla Svizzera. Insomma, nel documentario non viene censurato affatto il legittimo dubbio che nasce nel ragazzo", spiega il regista.

Pannone assicura anche di non aver ricevuto nessun particolare divieto nemmeno sui luoghi delle riprese: ha filmato nei dormitori dei ragazzi quanto nei giardini vaticani mentre gli allievi facevano jogging. "Solo nei giardini una volta ci è stato chiesto di ritardare le riprese perché a quell’ora Papa Ratzinger faceva la sua passeggiata quotidiana". Il regista racconta anche i tre momenti in cui sul set c’è stato anche Papa Francesco: "Il giuramento del comandante delle Guardie Svizzere, il giorno che precede il giuramento dei ragazzi e anche un’uscita del Papa dal Palazzo in cui vive. Chiaramente stavamo girando quindi non c’è stato modo di parlare con lui ma è stato bello incontrare il suo sguardo".

Nel documentario non si fa cenno al delitto che nel maggio del 1998 vide coinvolti il comandante delle guardie svizzere Alois Estermann, un suo subordinato e la moglie di Estermann, tutti rinvenuti cadaveri. "E’ stata una scelta precisa da parte mia ma nessuno mi ha chiesto di non farlo - sottolinea Pannone - ne abbiamo anche parlato. Però questo non è un documentario d’inchiesta. Sarebbe stato un argomento troppo ingombrante. Allora perché non citare il caso Orlandi o tanti altri misteri che hanno circondato il Vaticano nei decenni o nel secolo scorso? Semplicemente non era questo il film giusto per farlo", conclude.