Il successo a sorpresa della rassegna Questi fantasmi, l'anno scorso a Venezia, ha spinto la Mostra e la Cineteca nazionale a proseguire lungo una strada capace di unire il fascino della scoperta (soprattutto per le nuove generazioni) al rigore della ricerca. È in quest'ottica che, insieme a Goffredo Fofi, ho suggerito - su invito del curatore Sergio Toffetti - qualche titolo e percorso. L'idea che aveva colpito me come molti altri, e che aveva spinto molte cinefili a fare la coda davanti alla sala Volpi era stata quella di "liberare" una parte della storia del cinema italiano da quell'indifferenza, e a volte da quel disprezzo, che aveva condannato molti titoli all'oblio. Non era infrequente, infatti, parlando con amici che insegnano all'università o si occupano di cinema in maniera professionale, scoprire come titoli secondari del cinema statunitense o orientale erano conosciuti e difesi con maggior enfasi e competenza di film e registi che pure in Italia avevano avuto una qualche risonanza. Per esempio quei film eccentrici, anti-realistici, lontani dai canoni politici ed estetici accreditati nel nostro dopoguerra e che invece meritavano più attenzione. Penso ad esempio ai film-rivista, ai film fantastici, a certi melodrammi, a certe ricostruzioni storiche in controtendenza rispetto alle mode: il cinema italiano nel suo periodo più vitale (grosso modo tra il 1943 e la prima metà degli anni sessanta, se si escludono gli anni d'oro del muto) ha provato a imboccare molte strade, alcune delle quali si sono rivelate di difficile percorso, mentre altre avrebbero potuto portare a risultati interessanti se solo le si fosse guardate senza paraocchi.Quest'anno a Venezia le sorprese, le belle sorprese, non mancheranno: Noi cannibali di Leonviola, con una fiammeggiante Silvana Pampanini, è uno dei melodrammi più "colti" e raffinati che abbia prodotto il cinema di casa nostra; I girovaghi dell'argentino-statunitense Hugo Fregonese, con la dolcissima Carla Del Poggio, riflette sul passaggio da un'epoca all'altra (da quelli dei pupari a quella dei cinematografari) con una lucidità commovente; Uno tra la folla di Cerlesi e Tellini, sulle disavventure dell' "uomo comune", è tutto da scoprire; Guerra alla guerra di Marcellini e Simonelli permetterà finalmente di vedere il film che Pio XII aveva favorito e auspicato; Donne senza nome di Geza Radvanyi (fratello del romanziere Sandor Marai) ci ricorda che in guerra le donne, anche se lontane dal fronte, possono essere vittime allo stesso modo degli uomini. E poi ancora Cenerentola e il signor Bonaventura di Sergio Tofano, Storie sulla sabbia di Riccardo Fellini (fratello di Federico), La rimpatriata di Damiani (uno dei più belli, e dimenticati, primi ruoli di Walter Chiari), Le ore nude di Marco Vicario (con una indimenticabile Rossana Podestà), La nave delle donne maledette di Matarazzo (in un primo tentativo di ritrovare i suoi sfavillanti colori), Carmen di Trastevere di Gallone. L'elenco potrebbe proseguire ancora e a lungo perché ogni film ha una sua ragione di interesse. Che non è quella della riabilitazione per forza o del "capolavoro sconosciuto", ma piuttosto della riscoperta di una complessità – di estetiche, produzioni, idee, risultati - che il cinema italiano possiede e che troppe volte siamo tentati di dimenticare.