Al festival “Vento del cinema” (24-28 settembre) diretto da Enrico Ghezzi sulla suggestiva isola di Procida, partecipa Victor Erice, tra i cineasti europei più interessanti per una sorta di definitività quasi unica che riesce a donare ad ogni sua sequenza filmica.
“Ho sempre girato come se quella in oggetto fosse la mia ultima pellicola perché non so mai se ne arriverà un'altra” dichiara il regista, che ha presentato, in prima nazionale, La morte rouge, un corto in cui ripercorre le prime esperienze da spettatore, quando fu portato dalla sorella maggiore in un “palazzo” del cinema, il Gran Kursaal, sulle cui ceneri oggi sorge il CCCB, Centro di Cultura Contemporanea: “Lì nacque la sua affascinazione per le immagini in movimento”.
Come fa spesso, il regista spagnolo fonde storia personale e storia collettiva e affronta la complessa tematica della memoria: le paure del piccolo Victor davanti alla proiezione di The scarlet claw di Roy William Neill (1944) sono molto simili a quelle della piccola Ana del suo film d'esordio El espiritu de la colmena (1973); sono gli incubi che tutti noi abbiamo avuto da bambini quando assistevamo a qualcosa di "diverso" dal nostro quotidiano anche se, come ricorda la voce narrante dello stesso regista: "quella paura cercata da me e dagli spettatori era solo un modo per esorcizzare il presagio della dittatura franchista che avrebbe terrorizzato il paese".
Durante la jam session tra cineasti e filosofi sul tema della manifestazione “l'incompiuto cinema”, Victor Erice può porre riflessioni sull'argomento sia in termini pratici perché per problemi di produzione dovette troncare El sur (1983) lasciando incompiuto il viaggio di conoscenza della protagonista Estrella, sia perché nel poetico El sol de membrillo, che gli valse nel 1992 il premio della giuria al festival del cinema di Cannes, il suo protagonista, il pittore Atonio Lòpez, lottando con il mutare di luce delle stagioni, la propria umana imprecisione, rinuncerà al suo desiderio di dipingere l'albero di mele cotogne del suo giardino: “Il tempo non dà tregua, la realtà sfugge all'illusione del possesso, e, dopo tutto, quel che si può cogliere è solo “la morte al lavoro” afferma il cineasta nel nostro paese dopo diversi anni d'assenza.
Poi  le sue riflessioni sul cinema lo portano all'analisi della retorica del sistema industriale, per il quale auspica un futuro migliore dove gli autori, forse anche grazie all'avvento del digitale, potranno rivendicare il tempo della creazione come fa' il suo pittore: “Quello che veramente è importante e prezioso è il tentativo di non essere parte di quello che è il concetto di arte attualmente sviluppato, cioè complemento del mondo del turismo”.