Anche quest'anno si chiude il sipario sul festival di Rotterdam. La giuria ha premiato tre opere molto diverse tra loro, quasi a voler sottolineare l'eterogeneità di questo festival capace di raccogliere i segnali provenienti anche dalle cinematografie meno note.
Così è ad esempio il film di Agua fria del mar, originale storia in parallelo di una donna della borghesia benestante e di una bambina, figlia indipendente e misteriosa, di una famiglia proletaria. Senza calcare il tono della critica sociale e soffermandosi invece sull'affascinante scenario naturale (una baia sul mare), la regista di Costa Rica Paz Fabrega disegna la sua personale riflessione intorno al mistero della femminilità.
Sempre calato in uno scenario da mozzare il fiato è il film messicano Alamar, che vede come protagonista un giovane ragazzo figlio di un'italiana (l'inizio del film è ambientato a Roma) e di un pescatore indio messicano. Il film racconta con un tono quasi documentario la vacanza del giovane con il padre e il nonno, in una palafitta al largo di un'isola solitaria. Azzerando (o quasi) le informazioni esterne e le svolte narrative, Alamar si perde nei colori del mare dei Caraibi e affonda nel ritmo di una vita trascorsa a contatto con la natura.
Maggiormente segnato da una ricerca formale è invece il terzo premiato, il film thailandese Mundane History. Da un punto di vista narrativo il film segue la relazione tra due giovani, uno costretto in sedia a rotelle e l'altro chiamato a svolgere il ruolo di domestico. Per tre quarti della sua durata Mundane History sembra seguire in modo naturalistico il rapporto tra i due: una relazione intessuta di silenzi, condivisioni di momenti difficili e anche piccoli sorprusi. Ma è solo un modo per sviluppare un'atmosfera lisergica su cui innestare un finale onirico sorprendente, che guarda direttamente al cinema di Apitchapong (già omaggiato nei titoli di testa).