Sulla scia del calorosissimo applauso che è stato tributato dal pubblico in Sala Grande a El sheita elli fat (Winter of Discontent), si è svolta la conferenza stampa, dove l'accoglienza, con la sua energia, ha scaldato anche il regista Ibrahim El Batoud, e i due attori protagonisti, anche produttori, Amr Waked e Salah Al Hanafy. “Desidero ringraziare tutti i presenti, la vostra reazione ci ha dato conferma della bontà di quanto abbiamo fatto” inizia El Batoud. “Tutti sapevamo che eravamo protagonisti di qualcosa di unico, una Rivoluzione, in Egitto. Ci siamo trovati, umili, di fronte alle energie delle persone che, con la loro reazione, hanno cercato di far valere i propri diritti. E sapevamo anche che non saremmo stati capaci di spiegare tutto: per questo abbiamo scelto di tenerci lontani dalla piazza, attenendoci invece a raccontare, in interni, delle storie personali, che non potevano che trattare di oppressioni, torture, con uomini “fatti a pezzi”, in un meccanismo che, nella sua crudeltà, ha però reso possibile questa rivoluzione. Ognuno di noi vuole vivere in pace e in armonia, e quando questo diritto ci viene tolto, a volte riusciamo a ricordare che è nostro di diritto, e che dobbiamo riconquistarlo. Come lo è stato anche per tutti noi, dietro e davanti alla cinepresa, sapendo che se un giorno ci fossimo ritrovati a terra, ci saremmo potuti rialzare. Come canta Bob Marley: Stand Up!”.
E continua, parlando di manipolazione dell'informazione da parte del regime: “Vorrei dare una cattiva e una buona notizia. Quella cattiva è che siamo brainwashed, ci hanno fatto il lavaggio del cervello. Ma quella buona è che possiamo liberarci da tutto questo. Siamo su questa terra per vivere, non per vedere e vederci soffrire. E io sono testimone di questa possibilità. È una nostra scelta, il nostro personale mandato su questa terra. Dobbiamo porci mille domande sulle leggi che ci vengono imposte, e fino a quando la vita ha senso, come ci ricorda quello che sta avvenendo in Siria anche ora, l'unica via possibile da compiere è lottare!”. “Sono stupito e sconvolto, in modo positivo, dalle vostre reazioni”, interviene Waked. “I primi giorni di lavorazione abbiamo intervistato molte delle persone arrestate dal regime di Mubarak, ascoltando più volte le registrazioni del racconto di un uomo torturato dal regime. Del resto, anche mio fratello è stato portato più volte in prigione. Ibrahim mi ha chiamato il 10 febbraio, e mi ha detto che era il momento di far parlare la nostra arte. Sono orgoglioso di come ho vissuto questa esperienza, sia come uomo che come attore”. “Ho sentito l'applauso del pubblico - aggiunge Al Hanafy - e ha fatto scattare qualcosa dentro di me di indescrivibile. Quando Ibrahim mi ha chiesto se volevo partecipare come attore e come produttore, mi sono fatto mille domande: alla fine ho seguito il cuore, mi sono detto che dovevamo fare qualcosa per questa Rivoluzione”.
Nel film anche la figura di una giornalista, che sceglie di andare contro alla menzogna del regime. “Nella nostra parte del mondo - riprende il regista - quando si nasce donna si è subito accusati di qualcosa; e quando guardo le nostre donne penso a quanto abbiano dovuto fare per dimostrare che sono esseri perfetti quanto noi. La presenza di una donna nel film era necessaria, per ricordare quanto tutte loro ci abbiano aiutato a far crescere noi e le società. C'erano donne che lavoravano alle stazioni televisive che hanno denunciato la falsità delle notizie date dal regime, e hanno manifestato in piazza come le altre. È la verità. La macchina della tortura è esistita. Anche se i torturatori non sono stati accusati, incarcerati, e sono stati promossi, com'è successo con il ministro degli interni”.
Ma l'Egitto ora? “Il pubblico oggi” conclude El Batoud, “ci ha insegnato che dobbiamo credere in noi stessi. Sono stato frustrato per mesi per quello che è successo dopo quei giorni di rivolta, una Rivoluzione che avrebbe dovuto portarci a una grande Democrazia, ma che invece...I miei amici mi dicono di aspettare, e io aspetto, anche grazie all'energia che qui è scaturita. Vorrei che i quaranta milioni di persone che in Egitto vivono nella povertà, vivano meglio. Ma ora che cosa abbiamo? Un conflitto per il potere simile a quello che è successo miliardi di volte nella nostra storia. Ma spero davvero che tutto questo porti a un cambiamento, e continuerò a fare quello che mi riesce meglio, giorno dopo giorno, per aiutare che avvenga”. Perché come ricorda sul finale Waked: “C'è da lavorare sulla consapevolezza di un popolo, e questa arriverà. Il popolo farà la scelta giusta, dategli tempo: il pulcino nascerà e potrà crescere e volare”.