"Mi spiace per i colleghi, ma sono molto contento di essere il portabandiera italiano a Berlino, e soprattutto di aver lavorato con Costa Gavras: una tappa fondamentale della mia carriera, uno di quegli incontri che ti cambiano la vita". Parola di Riccardo Scamarcio, protagonista domani (fuori concorso) alla 59esima Berlinale con Eden is West di Constantin Costa Gavras.

Come sei arrivato al film?
Mi aveva visto in Mio fratello è figlio unico, ero a Parigi quando mi ha chiamato al cellulare: "Ti stavo cercando, ho un copione che vorrei farti leggere". Mi ha raggiunto in mezz'ora, e mi ha detto: "Fammi sapere che ne pensi: sei l'unico a poter interpretare il protagonista".

Chi è il tuo Elias?
Un immigrato clandestino, che salta dalla barca per sfuggire alla polizia, e si risveglia su una spiaggia di nudisti, in un luogo imprecisato dell'Europa, come ignote sono la sua provenienza e le sue origini. E' un personaggio diviso in due: realistico, perché non conosce l'inglese, e ci riporta al prototipo dell'immigrato clandestino; simbolico, perché naif, fantastico, che parla una lingua inesistente, che ricorda l'Africa e il Medioriente, e crede che l'Occidente sia il Paradiso: Eden is West.

E' la leggerezza la linea guida?
Sicuramente, ma  con parentesi in cui la mano di Costa Gavras ritorna spietata. Potremmo parlare anche di favola, grazie alla poesia e alla naivetè di Elias, una purezza e un'ingenuità che gli permettono sempre di farla franca, scatenando equivoci che fanno sorridere o lo rendono indifeso.

Qual è la tua visione politica sull'immigrazione, il film la riflette?
Trovo assurdo che certi Paesi non permettano ai propri cittadini di muoversi liberamente, e non perché non abbiano i soldi necessari, ma i documenti: esistono regole ed embarghi che non danno ai Paesi africani e a Cuba la possibilità di conoscere il mondo. E' una condizione mentale tremenda saper di nascere e dover morire in quel posto: il film non indica da dove provenga Elias per rappresentare la condizione di tutti gli extracomunitari.

C'è il rischio di idealizzazione?
Al contrario, è molto equilibrato, anche Elias ha le sue contraddizioni, magari è pure razzista verso gli indiani. Eden is West spiega perché gli immigrati devono smettere di pensare che l'Occidente sia il paradiso, e perché noi dobbiamo smettere di considerarli dei diavoli.

Hai appena finito di girare Il grande sogno di Placido, sei in sala con Italians di Veronesi e a Berlino con Costa Gavras: qual è la tua dimensione più autentica?

Non lo so, e nemmeno voglio saperlo. Posso dire che lavorando con Veronesi, che conosce molto bene la commedia, ho imparato cose che mi sono tornate utili per Eden is West. Cerco sempre di lavorare in progetti il cui scopo sia nobile, poetico, capace di liberare nello spettatore quell'energia positiva che rende magico il cinema.

Come ti sei trovato a lavorare con i francesi?
Si lavora bene, sono molto fiscali e precisi, mentre gli italiani sono più rumorosi ma anche più elastici, versatili e istintivi. Come il nostro popolo: di certo, non sono le maestranze il problema del cinema italiano.

Qual è il problema?
Il vero problema non è il cinema, ma l'Italia: negli ultimi 15 anni, la politica non ha sostenuto né protetto la cultura, mortificando la sensibilità del popolo. Un gioco al ribasso molto pericoloso.