"E' una grande responsabilità prendere in mano un libro che è il terzo più letto al mondo e ri-raccontare la storia”, così Enzo D'Alò, regista della La gabbianella e il gatto, porta in sala la storia di Pinocchio, il famoso burattino, dal naso che si allunga se dice bugie, nato dalle mani del falegname Geppetto e dalla penna di Carlo Collodi nel lontano 1881.
“Voglio che il pubblico si riconosca in ciò che vede. Pinocchio esprime il mio pensiero. In questo film ho raccontato anche le mie esperienze di quando ero bambino. Geppetto è un padre che si costruisce il figlio, un po' come quei padri che vogliono a tutti i costi che il figlio faccia l'ingegnere, Pinocchio si rifiuta e scappa via”, prosegue il regista che ha cercato di dare un taglio nuovo alla storia sia dal punto di vista visivo, grazie ai disegni dell'illustratore Lorenzo Mattotti, che dal punto di vista musicale grazie alle musiche di Lucio Dalla (alla sua ultima opera).
"Un musicista eclettico", lo definisce D'Alò che si è riavvicinato al cinema grazie a questo film, mescolando la sua libertà creativa con i colori del film: “dentro c'è Rota, Rossini e tanta musica colta che Lucio Dalla, con l'aiuto delle orchestrazioni di Roberto Costa, ha saputo adattare perfettamente alle immagini. Purtroppo non ha mai visto il film terminato. A lui che era un bugiardo sarebbe piaciuto!”, dice Marco Alemanno, il compagno di Dalla.
Nel nuovo film d'animazione di Enzo D'Alò, che uscirà nelle sale il 21 febbraio distribuito da Lucky Red in 200 copie, tornano a vivere tanti personaggi cari alla nostra memoria: il Grillo-parlante, Mangiafuoco (doppiato da Rocco Papaleo), il Gatto (Maurizio Micheli) e la Volpe (Maricla Affatato), la Fata Turchina, Lucignolo (Paolo Ruffini) e tanti altro come Il pescatore verde, doppiato da Lucio Dalla.
“Ho cercato di mantenere tradizione e novità”, dice il regista che insieme a Mattotti ha creato i personaggi e le scenografie, scansionando molto materiale disegnato a mano e poi modificandolo con Photoshop: “Mi sono staccato dall'animazione giapponese e americana perché penso che l'animazione debba essere funzionale alla storia”.
Così molte sono le differenze con il famoso Pinocchio disneyano del 1940: a cominciare dal piccolo protagonista che lì indossava un cappello tirolese mentre qui è ricollocato nella zona toscana tra Bibbona e Casale Marittimo, suo ambiente originario, o il grillo parlante che nel film Disney era una coscienza che accompagnava costantemente Pinocchio, mentre qui è un personaggio marginale. “Inoltre, ho trasformato la Volpe in un personaggio femminile perché mi piaceva che Pinocchio subisse due modalità di seduzione differenti: un Gatto istrionico e una Volpe astuta e sensuale. Per Mangiafuoco mi sono attenuto molto a quello di Collodi, mentre ho cercato di riattualizzare il Paese dei Balocchi, perché penalizzare i bambini che vanno al parco divertimenti mi sembrava piuttosto anacronistico, quindi ho immaginato un parco caleidoscopico che raccontasse l'alienazione, mentre per alcune scene mi sono ispirato a Le Carceri di Piranesi. Infine ho cercato di alleggerire la parte gotica, ottocentesca della storia per dargli più solarità, per questo faccio vedere poco l'impiccagione di Pinocchio”, spiega il regista.
Ben 500 persone per quattro anni hanno lavorato al rilancio della famosa favola di Pinocchio, per una produzione tra Italia, Francia, Belgio e Lussemburgo, che vuole far rivivere la storia del burattino di legno e riattualizzarla: “D'altronde Lucifero è un po' come l'attuale italiano media che si fa abbindolare dal politico che gli promette chissà che cosa”, conclude Paolo Ruffini.