“Non è un film denuncia, racconta un fatto con tutte le sue criticità. Il senso ultimo è la perdita dell'innocenza da parte di un intero popolo, quello albanese, che ha un sogno per il futuro e quando mette le mani su questo futuro rimane scottato. Dalla Vlora parte la storia moderna italiana con le sue difficoltà a gestire le emergenze e a mettere d'accordo le istituzioni”. Così Daniele Vicari, dopo Diaz, rilegge un'altra pagina della nostra storia recente in La nave dolce, presentato fuori concorso a Venezia 69, nelle sale dall'8 novembre (30-35 copie) distribuito da Microcinema, prodotto da Indigo Film e Apulia Film Commission, con Rai Cinema in co-produzione con Ska-ndal Production e in collaborazione con Telenorba.
Il documentario ricostruisce con immagini d'archivio e testimonianze dirette lo sbarco nel porto di Bari di ventimila profughi albanesi avvenuto l'8 agosto 1991. La nave Vlora carica di 10 mila tonnellate di zucchero, il carico dolce insieme alle speranze dei suoi passeggeri, salpa da Durazzo come un formichiere brulicante di gente che fugge da un paese stremato dalla dittatura. Appordati sulla costa pugliese a migliaia, davanti allo sguardo attonito e incredulo di una nazione, la maggior parte degli immigrati viene rimpatriata, qualcuno riesce a restare.
“Mi ricordo - spiega il regista - l'emozione che ho provato quando, guardando i materiali di repertorio, ad un certo punto gli operatori televisivi cominciano a stringere il campo, da immagini totali si passano alle inquadrature strette su corpi e volti, restituendo umanità ad una massa indistinta”. Tra quei volti c'era il ballerino del talent di Maria De Filippi Amici Kledi Kadiu: “Non è stato un viaggio premeditato modello crociera. Eravamo attratti dall'Italia che vedevamo in tv ed era venuto il momento di andare via e quello era l'unico mezzo. Dalla mia avevo anche l'incoscienza di quando si hanno 17 anni”.
La nave dolce, scritto con Benni Atria e Antonella Gaeta, con le musiche di Teho Teardo, ha avuto una gestazione di tre anni, in mezzo c'è stato il film sul G8 di Genova Diaz. Entrambi sono stati realizzati dallo stesso gruppo di lavoro. “Tutti e due raccontano eventi di massa – dice Vicari – l'unico film nella cinematografia italiana che fa una cosa simile è La battaglia di Algeri. Ci vuole la struttura narrativa della tragedia classica, in 5 atti (La Gerusalemme liberata) che narra attraverso una molteplicità di vicende per non tradire la complessità di un evento così ampio”.
Nel 1991 l'allora Presidente della Repubblica Cossiga attaccò pubblicamente Enrico Dalfino, sindaco di Bari, e la sua amministrazione per le modalità con cui fu gestita la situazione: le decine di migliaia d'immigrati furono rinchiusi per diversi giorni nello stadio cittadino in pessime condizioni igieniche, senza cibo nè acqua. Secondo Vicari, “la gestione dell'ordine pubblico dà il segno del livello di civiltà di un paese e ha a che vedere con la libertà e le limitazioni delle persone. Nei fatti della Vlora viene fuori un'attitudine non democratica da parte delle istituzioni. Dieci anni dopo, a Genova succede la stessa cosa: la politica, incapace di gestire un problema sociale, manda l'esercito che organizza la repressione e la deportazione. Questo è avvenuto in entrambi i casi”.
Durante la conferenza stampa Franco Mariotti ha consegnato il Premio Pasinetti (Sindacato dei giornalisti cinematografici) a Daniele Vicari perché “ha utilizzato materiali d'epoca mostrando un'inattaccabile verità su questi episodi, che dovrebbero servire ad evitare che accadano ancora”. Il regista di La nave dolce, ritirando il premio, ha commentato: “Ritengo il cinema documentario una grande chance per la nostra cinematografia. Per me il documentario e la finzione sono la stessa cosa”.