Risate, fischi e qualche applauso in proiezione stampa per E la chiamano estate di Paolo Franchi, terzo e ultimo italiano in Concorso al festival di Roma: Protagonisti Jean-Marc Barr e Isabella Ferrari, ovvero Dino e Anna, una coppia di 40enni che si ama intensamente, ma non ha mai avuto un rapporto fisico: introverso e complesso, l'anestesista Dino frequenta scambisti e prostitute, ma non può fare a meno di Anna. “Volevo raccontare un amore che è condivisione di un dolore, anche veleno, fuori dai canoni che la società ci propone, fuori dai Baci Perugina”, dice il regista.
In conferenza stampa, una sessuologa-psicologa certifica quello di Dino quale “caso di impotenza secondaria situazionale”, aggiungendo polemicamente: “E' assurdo che sia un medico”, ma Franchi si trincera: “Non so cosa dire”. Parla, viceversa, Nicoletta Mantovani, la vedova Pavarotti, che produce E la chiamano estate: “L'ho scelto perché il copione parlava dolore, magari sotto forma di metafora esagerata parla di quel che succede in tante coppie, ma non è un'analisi psicologica, non è un documentario, è un film”. Protagonista di scene di nudo abbastanza audaci, la Ferrari lo considera “un film d'autore e mi dà energia dirlo. Paolo mi ha chiesto di non andare verso la performance, di essere libera, senza maschera, di non recitare: ho pensato al  vuoto, ma lavorando nel vuoto sprofondi, riemergi e galleggi. H trovato la morbidezza per le scene di nudo, che sono state per niente imbarazzanti, per la prima volta nella mia vita: mi son sentita totalmente libera. senza costruzione né angoscia”.
Titolo tratto da una canzone anni '50 di Bruno Martino, E la chiamano estate, dice Franchi, “punta sulla reiterazione delle scene in considerazione di un rapporto di coppia trans temporale: è bergsonianamente un tempo interiore, unico, senza cronos, cronologia, passato, presente, futuro e immaginazione si fondono in un unica realtà. Il tempo è una linea curva, del resto anche il nostro Dna ha forma elicoidale”.
Prodotto col sostegno del Ministero Beni culturali (400mila euro), Regione Puglia (80mila) e Lazio, il film ha un budget di un milione e mezzo di euro: “Per produrre un film d'autore che non farà botteghino ci vuole coraggio”, dice la Mantovani, che lamenta “una conferenza stampa con i giornalisti come nella fossa dei leoni”. “Il film può piacere o meno, ma in Italia con la tv non c'è più forma di ricerca o sperimentazione: E la chiamano estate è una ricerca personale, e tante ricerche, che piacciano o meno, fanno un Paese ricco di cultura”. Ma, gli viene chiesto, a chi arriverà questo film? “L'arte è egoista, non si può arrivare a tutti, manco alla maggioranza. Tutto è soggettivo, non ho la vanagloria o l'ambizione di raggiungere tutti, ma come diceva Duchamp a qualcuno questo film suscita un rendez-vous con se stesso”.
Conclude Jean-Marc Barr: “Ho sangue italiano nelle vene, capisco la vostra educazione, ma qui c'è un regista che sta cercando di provocare reazioni diverse in una società che si sta rivoluzionando in campo sessuale. Trovo Dino una persona vera, sincera che alla fine decide di uccidersi, ma ha conosciuto l'amore”.