“Le escort? Sono sempre esistite, e fino a ieri erano rispettabili: oggi l'uso politico le ha degradate. Si colpevolizza il loro comportamento, al posto di quello dei politici: è un problema di comunicazione, uno slittamento di focus”.
Così la portavoce del Comitato Diritti Civili delle Prostitute, Pia Covre, presenta il doc Case chiuse, diretto da Filippo Soldi, prodotto da Combo con Rai Cinema e Cinecittà Luce e in cartellone al festival di Roma nella sezione Extra. Un viaggio tra le case di tolleranza, che parte dal lupanare di Pompei e arriva all'Artemis di Berlino, passando per filmati d'epoca, testimonianze, tra gli altri, di Tinto Brass, Lina Wertmuller, la stessa Covre e Luciana Castellina, con un punto focale: il 20 febbraio 1958, quando il Parlamento approva la legge Merlin e chiude i bordelli. Decisione cui contribuirono le lettre indirizzate alla senatrice Merlin da tante prostitute, qui rilette da Piera Degli Esposti e Mariangela Melato.
E oggi? 50mila lavoratrici del sesso, contro le 3-400mila in Germania, e “a Roma e in tutta Italia, per un cliente multato si multano 50 prostitute, si fanno foto segnaletiche come a Udine, solo perché una ministra - accusa la Covre - parla di estirpare il fenomeno, ma non è possibile eliminare il lavoro sessuale, bensì va cancellato lo sfruttamento. Liberare le schiave non significa solo operazioni di polizia”.
Il momento è difficile - “Servirebbe una legge, ma come per altre cose in Italia vige un abbandono assoluto”, ma non si può tornare indietro: “La libertà sessuale passa anche attraverso il lavoro sessuale, non si può tornare alle case chiuse”, dice la Covre, e il regista Filippo Soldi lo rinfranca: “Prima del '58, i casini erano galere, centri di schiavitù: “la donna serve”, e basta, non c'era rispetto né parificazione dei ruoli”.
E nemmeno far pagare oggi le tasse alle prostitute: “30, 20 anni fa, lo volevamo noi, ma oggi tra crisi, retate e fatica c'è ben poco da far pagare”, lamenta la Covre, sottolineando come il messaggio massmediale sia sbagliato: “Noi non paghiamo le tasse perché, sebbene previsto dalla legge Visco, in realtà non è possibile dichiarare la professione ufficialmente”.
Viceversa, incalza, “dovremmo ribellarci quali cittadini ai posti di lavoro e agli incarichi pubblici assegnati tramite selezione in camera da letto”.
Normale che il discorso finisca dalle parti di Palazzo Grazioli e Arcore: “Il modello è quello della cortigiana, della favorita alla corte del Re Sole: non è un lavoro sessuale, ma un piegarsi di fronte al sovrano, che non è esclusivamente sessuale e coinvolge sia donne che uomini. E queste cortigiane sono molto più dipendenti e soggiogate rispetto alla prostituta che ha rapporti con clienti occasionali”.