“Troppo spesso la giustizia si fa sui social e non in tribunale”. A dirlo è il regista francese Yvan Attal che oggi ha presentato alla mostra del cinema di Venezia, fuori concorso, il suo nuovo film dal titolo Les choses humaines.

Tratto dall’omonimo libro di Karine Tuil, il film affronta il tema dell’abuso. A Parigi, una sera due giovani, Mila (Suzanne Jouannet) e Alexandre (Ben Attal) escono e vanno a una festa. Il giorno dopo lei sporge denuncia contro di lui accusandolo di averla stuprata. Le famiglie (lui figlio di un importante opinionista francese e di una saggista nota per il suo femminismo radicale, lei di un’ebrea ortodossa) subito prendono le parti dei rispettivi figli. Ma quale è la realtà? Come sono andate veramente le choses humaines? Difficile stabilirlo, anche per un giudice perché da quel momento in poi “non esiste più una sola verità, ma due percezioni della stessa realtà”.

“Come un giudice, lo spettatore si chiede: veramente c’è stata violenza o la ragazza ha mentito spudoratamente?”, dice il regista. E poi: “Più ci si pongono delle domande e più diventa difficile per un avvocato, ma anche per un magistrato, prendere una posizione. Ho voluto fare un film non manicheo, senza però tradire la causa delle donne. Non è un film che tende da una parte o dall’altra. Pone lo spettatore al posto del giurato. Non mi interessava la questione morale. Penso però che bisogna trovare una giustizia che sia umana”.

E proprio dentro un tribunale si svolge gran parte del film. “Durante i processi c’è molto silenzio e anche tanta tensione. Si ascoltano attentamente tutte le persone. Ognuno sente ciò che dice l’accusato e viceversa. Per questo ho usato tanti piani sequenza lasciando molto spazio alla parola dei personaggi”.

Ma non è pericoloso nella realtà far vedere che non esiste una verità oggettiva e che lo stesso tribunale possa trovarsi in difficoltà nel prendere una posizione? “Non esiste una sola verità. Non tutti abbiamo la stessa percezione delle cose. E spesso nella vita vediamo quello che abbiamo voglia di vedere. Per esempio, non tutti vediamo e viviamo il sesso nello stesso modo”.

Mathieu Kassovitz (Credits: Jrme Pr bois - Curiosa Films - Gaumont)

Nel presentare in modo equidistante le due diverse posizioni non c’è comunque il rischio di una cattiva interpretazione, come se in qualche modo si volesse difendere lo stupratore? “Mi auguro di no”, risponde il regista. E poi precisa: “Non potevo prendere la parte dell’uno o dell’altro. Ho cercato di mantenere sempre un equilibrio e di tenere un filo conduttore stando sempre vicino a ciascun personaggio”.

E poi sul libro: “Sono rimasto colpito perché affronta un argomento molto moderno e contemporaneo. Mi sono identificato con tutti i personaggi. Volevo difendere tutti. Spesso in questi casi le cose sono molto complesse e complicate”.

“Ho letto il libro di Karine Tuil che ha provocato molti dibattiti in Francia. Cosa che deve fare anche il cinema”, conclude Olivier Delbosc, produttore per Curiosa Films.

Nel cast anche Charlotte Gainsbourg, Pierre Arditi, Mathieu Kassovitz, Benjamin Lavernhe e Audrey Dana.