L'Iraq protagonista alla 79a edizione degli Oscar. In pochi se ne sono accorti, ma all'ombra di Al Gore, ben due dei titoli in corsa per la statuetta per il miglior documentario fotografano proprio la realtà del paese nel dopo-Saddam. Entrambi americani come il superfavorito Una scomoda verità dell'ex candidato alla Casa Bianca, muovono dal comune intento di offrire un ritratto del paese più ampio, rispetto alle quotidiane semplificazioni dei media. Da qui la scelta di James Longley di articolare il suo Iraq in Fragments come un caleidoscopio di prospettive. Come rivela il titolo, il documentario nasce infatti da oltre due anni e ben 300 ore di girato, raccolte dal regista dell'Oregon, seguendo le parallele vicende di un bambino orfano di Bagdad, un gruppo di Sunniti a Nassiriya e uno di curdi, in lotta per l'indipendenza nel nord del paese. Per il suo My Country My Country, la newyorchese Laura Poitras si concentra invece su un medico sunnita che, nonostante si opponga alla presenza americana, finisce per candidarsi alle elezioni del 2005. Entrambi prendono poi le distanze da Michael Moore, sottolineando invece come loro intenzione sia principalmente l'approfondimento su una realtà così variegata e complessa come quella irachena. Come racconta la Poitras, non è però bastato questo ad evitarle spiacevoli inconvenienti col governo americano. "Sono stata trattata come una terrorista - ha raccontato alla BBC -, gli agenti dell'aeroporto sono stati severissimi, dicendomi che ero un soggetto a rischio". Gli altri due documentari in lizza per l'Oscar offrono invece spaccati agli antipodi, su modalità e devianze nel moderno rapporto con la religione. Jesus Camp segue infatti un gruppo di giovani evangelisti, mentre Deliver Us from Evil si concentra sul dramma di un prete pedofilo. La cerimonia di consegna dei premi è in programma per il 25 febbraio a Los Angeles.