“Le notizie di cronaca parlano spesso di donne perseguitate, picchiate e persino uccise da fidanzati mariti o compagni. Ho pensato fosse urgente e giusto parlarne, perché c'è una casistica in aumento ed è un fenomeno interclassista. Per fortuna oggi c'è una legge che sancisce il reato di stalking”. Così Liliana Cavani spiega l'importanza del suo film tv Troppo amore, in onda su RaiUno ieri sera alle 21.00, che fa parte del ciclo Mai per amore, una coproduzione “Rai Fiction” insieme alla “Ciao Ragazzi” di Claudia Mori, una miniserie di quattro episodi che vuole raccontare la violenza sulle donne. “All'inizio dovevano essere sei episodi, - continua la regista di Carpi - di cui due sulla prostituzione, ma il mercato delle schiave del sesso, perché di schiave si tratta, è stata considerata dalla Rai una realtà troppo forte, così sono rimasti in piedi quattro film. Il mio è sullo stalking dell'uomo nei confronti della donna e ha per protagonisti Antonia Liskova e Massimo Poggio”. Dopo le polemiche delle scorse settimane e l'interpellanza parlamentare bipartisan nella quale si chiedevano al Ministro Elsa Fornero chiarimenti sul boicottaggio della miniserie, la Rai ha reinserito il ciclo nel palinsesto (3 aprile, Ragazze In Web di Marco Pontecorvo, con Francesca Inaudi e Carolina Crescentini; 10 aprile La Fuga Di Teresa diretto da Margarethe Von Trotta, con Stefania Rocca e Alessio Boni; 17 aprile Helena & Glory di Marco Pontecorvo, con Barbora Bobulova e Thomas Trabacchi). “Vanno in onda adesso, ma erano stati programmati  a novembre - ricorda la Cavani - Questi sono film non graditi perché si pensa sempre che la gente alle nove di sera non abbia voglia di affrontare questo argomento, quando a ben guardare la violenza gratuita in tv regna sovrana”.Liliana Cavani ha sempre lavorato indistintamente per il piccolo e il grande schermo, è stata per un paio d'anni nel consiglio di amministrazione Rai e ha girato film come De Gasperi, Einstein. Ha sempre creduto nelle potenzialità della tv come mezzo si divulgazione culturale: “Noi del Cda abbiamo voluto la fiction italiana perché dall'estero compravano di tutto e volevamo raccontare un po' di noi stessi e poi anche per non sentire più delle bambine che si chiamassero Pamela o Sue Ellen…L'industria americana lo fa da una decina d'anni: il pilot di una nuova serie è firmato da un grande regista, gli attori sperano di partecipare ad una fiction di successo per poi fare il cinema, c'è uno scambio. Da noi, invece, i miei colleghi pensano che esista solo il grande lenzuolo. E questo ha impedito uno scambio prezioso, sia di risorse economiche, che permetterebbero di fare prodotti più ambiziosi, sia risorse culturali per fare dei film meno piccoli e ripetitivi”. La passione di Liliana Cavani per la documentazione della vita reale non si è mai interrotta, e anche il lavoro che presenterà, forse, a Venezia rimane in questo ambito: “Il documentario è stato il mio inizio. Quando lavoravo per la Rai fui incaricata di fare diversi documentari e mi ritrovai davanti a chilometri di pellicola sulla Seconda Guerra Mondiale che per me non era esistita perché ero una bambina. È stata la guerra più filmata! Dal cinema si può imparare tanto, il documento visivo fa emergere il dibattito storico e dà la possibilità di vedere la Storia. La più importante letteratura del ventesimo secolo è il cinema, usa le immagini al posto delle lettere. A me piace il cinema che mi fa fare un viaggio da qualche parte, non che mi fa stare li seduta e basta…”.